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Ateneo Modena-Reggio: approfondimento di aspetti e conseguenza geofisiche, geomorfologiche e strutturali del sisma che ha colpito l’Emilia


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L’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, che attraverso i suoi docenti si trova in prima linea a collaborare con le varie autorità competenti (Protezione Civile, Comuni, ecc.) per valutare e comprendere in tutta la sua portata, geomorfologica, fisica e strutturale, il fenomeno sismico che ha interessato l’Emilia Romagna e parte della Lombardia, scende in campo per cercare di chiarire sul piano scientifico e delle conoscenze finora acquisite che cosa sia successo ed esporre le iniziative prese per fronteggiare i disagi sofferti da una parte consistente della comunità accademica, e in particolare dagli studenti.

PROVVEDIMENTI ADOTTATI DALL’ATENEO A FRONTE DELL’EMERGENZA TERREMOTO DELL’EMILIA ROMAGNA

Già all’indomani della prima violenta scossa del 20 maggio – spiega il Rettore,  Prof.Aldo Tomasi –  l’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia ha deciso di:

– devolvere i gettoni di due sedute del Consiglio di Amministrazione a favore delle popolazioni terremotate

– fornire al Comune di Mirandola 30 telefoni voip e alcuni apparati di rete inoltre il nostro SIRS – Servizio Sistemi Informatici – Reti e Sistemi (tel. 059 2058024 – fax 059 2058036) ha dato la propria disponibilità a mettere a disposizione materiali e competenze per la salvaguardia dei dati

– la chiusura precauzionale dell’Ateneo per poter effettuare controlli e verifiche di stabilità e sicurezza su tutte le strutture accademiche, iniziativa che si è ripetuta anche dopo la scossa del 29 maggio, che hanno consentito di escludere che qualcuna delle strutture tanto a Modena che a Reggio Emilia possa aver subito lesioni o danni tali da suggerirne una sua permanente inagibilità

– offrire al Dirigente scolastico di Modena e Reggio Emilia la disponibilità delle strutture accademiche per lo svolgimento degli esami

– terminare le lezioni dei corsi di laurea entro venerdì 8 giugno 2012

– rifissare le date degli appelli per esami, rinviati a seguito della forzata chiusura dell’Ateneo, prevedendo con una certa flessibilità – qualora si renda opportuno in ragione della eccezionalità della situazione e delle condizioni vissute dagli studenti e dai loro famigliari – sessioni di esami straordinarie aggiuntive a quelle previste dal calendario accademico

– di proporre agli organi accademici che gli iscritti figli di famiglie che hanno subito danni materiali per il terremoto o i cui famigliari si trovano forzatamente in cassa integrazione o hanno dovuto osservare un lungo periodo di CIG, perché dipendenti di aziende ubicate nelle zone colpite dal sisma, saranno esonerati dal pagamento delle tasse universitarie, ad esclusione della tassa regionale e dell’imposta di bollo

– stabilire che l’intero ammontare del contributo 5×1000 che verrà raccolto dall’Ateneo con le prossime dichiarazioni dei redditi sia impiegato per la messa in campo di interventi straordinari a sostegno del diritto allo studio di questi giovani, definendo un pacchetto di sussidi (comprendenti anche mensa e trasporti, se possibile) che alleggeriscano ed esentino totalmente per l’anno accademico 2012/2013 le famiglie dal carico di costi che devono sopportare per la formazione dei figli

– prendere in considerazione la richiesta degli studenti di riconoscimento di crediti agli studenti che si offrono volontari per aiutare le popolazioni colpite dagli eventi sismici, nei limiti dei singoli corsi di studio, in possesso di modulo che certifica la presenza nei campi da parte dell’ente comunale, associazione di volontariato o protezione civile

– trasmettere alle varie istituzioni e autorità, impegnate nei soccorsi e nella ripresa delle aree colpite dal sisma, la piena disponibilità dell’Ateneo ad offrire sostegno attraverso le competenze tecnico-scientifiche dei suoi docenti, in particolare di Scienze della Terra e di Ingegneria Civile, per l’opera di monitoraggio e controllo della situazione in corso, cosa peraltro già iniziata all’indomani della prima violenta scossa

Va, però, anche ricordato che tanti nostri studenti in questi giorni – si veda per esempio l’iniziativa della raccolta pupazzi promossa dagli studenti universitari SISM – Segretariato italiano studenti di Medicina – sono attivamente impegnati insieme alla Protezione Civile nella azione di soccorso alla popolazione.

 

SINTESI DISPOSIZIONI D’EMERGENZA PUBBLICATE SUL SITO D’ATENEO

In merito alla gestione delle emergenze (tra cui il terremoto) l’Ateneo già da anni ha predisposto per ogni singolo edificio piani di emergenza specifici (vedi link http://www.spp.unimore.it/piani_di_emergenza.html ).

In caso di terremoto non viene dato il segnale di allarme in quanto tutti sono in grado di rendersi conto dell’evento e l’allarme giungerebbe intempestivo.

Tutte le persone presenti nell’area:

– interrompono l’attività in corso;

– coloro che operano in laboratorio o su impianti ed attrezzature (ad es. per manutenzione) mettono in sicurezza ciò con cui stanno operando; sospendono o non effettuano travasi di sostanze pericolose;

– le persone in laboratorio spengono le fiamme e tolgono l’energia elettrica;

– tutti, ovunque, spengono le sigarette;

– tutti si allontanano dalle finestre, dalle vetrate, dagli scaffali e in genere da oggetti che potrebbero cadere;

– nessuno usa ascensori;

Al termine del fenomeno sismico tutti si portano nel punto di raccolta esterno seguendo i percorsi delle vie di uscita di emergenza (camminando con cautela, saggiando il terreno prima di posare il piede) opportunamente segnalate da tempo all’interno degli edifici universitari con targhe ben visibili apposte sulle pareti.

Terminato il fenomeno ed in relazione all’entità dello stesso, il Coordinatore dell’emergenza (Responsabile di struttura e/o il più alto funzionario in grado presente) valuta se sia il caso di interrompere l’attività in attesa di sopralluogo da eseguirsi ad opera di Organismi competenti che verifichino la agibilità dell’edificio.

In caso di danni o pericoli, il Coordinatore dell’emergenza dà le disposizioni per abbandonare il luogo di lavoro o accertata la condizione di sicurezza, dispone il cessato allarme e l’eventuale ripresa delle attività.

Infine si comunica che alla luce dei recenti eventi (allo stato attuale tutti i locali utilizzati dall’università sono idonei a svolgere l’attività istituzionale) gli uffici preposti sono impegnati a rivedere queste procedure al fine di renderle più semplici e fruibili per la grande famiglia universitaria.

Servizio di Prevenzione e Protezione – SPP

PRINCIPALI EVENTI SISMICI NELL’AREA MODENESE, REGGIANA E FERRARESE DAL ‘300 A OGGI

EPICENTRO DATA Intensità (Scala Mercalli) Magnitudo (Scala Richter)

Ferrara – 22 Febbraio 1346 – VIII – 5.8

Modenese – 20 luglio 1399 – VII – 5.4

Sassuolo (MO) – 5 giugno 1501 – IX – 5.8

Ferrara – 17 Novembre 1570 – VII-VIII – 5.5

Finale Emilia (MO) – 17 Marzo 1574 – VII – 5.1

Argenta (FE) – 18 Marzo 1624 – VII-VIII – 5.4

Rubiera (RE) – 20 giugno 1671 – VII – 5.3

Novellara (RE) – 12 febbraio 1806 – VII – 5.2

Novellara (RE) – 25 dicembre 1810 – VII – 5.2

Montebranzone (MO) – 15 agosto 1811 – VII – 5.2

Modena  -18 settembre 1850 – VI – 4.8

Carpi (MO) – 13 giugno 1928 – VII – 4.8

Correggio (RE) – 15 ottobre 1996 – VII – 5.4

ORIGINI GEOLOGICHE DEL SISMA

La catena appenninica deriva dalla collisione di due grandi placche: quella europea e quella africana. Lo scontro avviene in maniera complicata lungo un fronte che descrive all’incirca un’ampia esse (s). In mezzo a queste due grandi placche si trova un’altra placca, dalle dimensioni più piccole, l’Adria, che viene stretta e compressa dal loro movimento.

La collisione e l’interazione di queste placche ha portato al piegamento e al sollevamento delle rocce situate tra di esse e sui loro bordi generando l’attuale catena appenninica. La catena geologica non coincide però con quella topografica; una buona parte dell’Appennino e precisamente la sua parte più frontale esiste, sepolto, al di sotto dei sedimenti della Pianura Padana e del Mare Adriatico. Sono proprio i movimenti compressivi delle strutture (pieghe e faglie) sepolte di questa porzione dell’Appennino a generare i terremoti della porzione pianeggiante della Regione Emilia-Romagna. Una di queste strutture, situata nel sottosuolo della pianura e conosciuta col nome storico di dorsale ferrarese, facente parte del più ampio complesso delle pieghe emiliano-romagnole, spostandosi ha generato la sequenza sismica a partire dal 20 maggio. Il fatto che gli ipocentri siano localizzati generalmente nei primi 10 km di profondità, e quindi abbastanza vicino alla superficie, ha portato a trasferire buona parte dell’energia sismica (5,9 e 5,8 della scala Richter, gli eventi più intensi) ai manufatti umani costruiti alla superficie del suolo, contribuendo ai danni verificatisi.

Prof. Stefano Conti, Docente di Geologia Regionale – Università degli studi di Modena e Reggio Emilia

EFFETTI AMBIENTALI SISMOINDOTTI

I danni dovuti ad un terremoto dipendono, in ordine di importanza, da: 1) presenza di persone e opere dell’uomo; 2) tipo di costruzioni; 3) tipo e morfologia del terreno; 3) magnitudo e profondità del terremoto.

Gli effetti sull’ambiente di un terremoto possono essere raggruppati in due categorie: primari e secondari. Gli effetti primari sono quelli relativi alle fagliazioni superficiali o faglie da terremoto, cioè legati ai movimenti direttamente connessi alla faglia sismogenetica e limitati all’area di esposizione della faglia sismogenetica. Sono costituiti da scarpate, fratture.etc.., che generalmente si formano in occasione di forti terremoti, con magnitudo superiore a 5,5.

La maggior parte dei danni causati dai terremoti sono comunque dovuti ai loro effetti secondari, quelli risultanti dalla propagazione delle onde sismiche dalla struttura sorgente. Essi risultano dal passaggio momentaneo delle onde sismiche e possono verificarsi su ampie estensioni territoriali causando danni diffusi.

Gli effetti sismoindotti piu’ comuni possono essere ricondotti a fessurazioni del terreno (in terreno rigido, in sedimenti fini e/o in strade asfaltate), frane in aree montuose, fenomeni di liquefazione e compattazione del suolo, sollevamenti e abbassamenti, collassi del piano campagna, anomalie idrologiche.

A partire dal giorno successivo al sisma del 20 maggio 2012 di magnitudo 5,9 i ricercatori del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, ed in particolare il prof. Doriano Castaldini, in collaborazione con ricercatori di altre università (Como, Pavia, Milano-Bicocca, Padova) e di enti di ricerca (INGV e ISPRA) hanno iniziato a rilevare gli effetti cosismici ambientali. Le ricerche, tutt’ora in corso, hanno lo scopo di rilevare in tutta l’area epicentrale, che ricade nelle Province di Modena, Ferrara e Mantova, tali effetti oltre a quelli seguiti al sisma del 29 maggio di M = 5,8, e di verificare la loro evoluzione nel tempo. Per ogni effetto rilevato sono state effettuate misurazioni, campionamenti e descrizioni dettagliate delle evidenze osservate.

Gli effetti ambientali rilevati hanno evidenziato soprattutto fenomeni di liquefazione (vedere scheda relativa ed immagini ad essa allegate) sia puntuali che disposti lungo una complessa serie di fratture (rilevate essenzialmente nella zona tra S. Agostino e Mirabello in provincia di Ferrara) non imputabili a fagliazioni superficiali ma piuttosto ad espandimenti laterali. Da segnalare, inoltre, l’innalzamento della falda freatica di alcuni metri con fuoriuscita di sabbia da numerosi pozzi e il rigonfiamento del fondale di lunghi tratti di alcuni canali. La fratturazione del terreno ha localmente determinato la rottura di tubazioni interrate.

L’ubicazione dei fenomeni di liquefazione, che hanno portato in superficie notevoli quantità di depositi prevalentemente sabbiosi, sembra essenzialmente controllata dalla distribuzione di paleoalvei del fiume Po (Valli Mirandolesi), del Secchia (zona San Possidonio, Concordia) e del Reno (zona tra S. Agostino e Mirabello). In particolare, nella zona di San Carlo i fenomeni di liquefazione ed espandimento laterale hanno dimensioni rilevanti e hanno portato all’evacuazione di alcune zone del paese.

I dati dei rilevamenti seguiti all’evento sismico del 29 maggio, il cui epicentro è situato più ad ovest rispetto al terremoto del 20 maggio, mostrano una parziale riattivazione dei fenomeni di liquefazione più vicini all’epicentro, e la creazione di nuovi in corrispondenza di esso (come ad esempio a Cavezzo e a San Possidonio).

Secondo le testimonianze raccolte in tutta l’area epicentrale, i fenomeni di liquefazione sono iniziati a pochissimi minuti di distanza da entrambi i sismi, sono durati diversi minuti e sono stati anche caratterizzati dalla fuoriuscita di getti di acqua alti anche oltre un metro. Sul sito del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia (http://www.terra.unimore.it) è visionabile un video sulla liquefazione dei terreni. Si tratta di una ripresa realizzata dal sig. Luigi Righi di Moglia (Mantova) immediatamente dopo il sisma di Ml=5.8 del 29/05/2012 delle ore 09:00:03 concesso in uso al Dipartimento di Scienze della Terra di Modena).

In generale, in è possibile affermare che la distribuzione e le dimensioni del danneggiamento sono stati in gran parte controllati dalla presenza di effetti geologico-ambientali sismoindotti.

Prof. Doriano Castaldini, Docente di Geografia Fisica e Cartografia – Uinversità degli studi di Modena e Reggio Emilia

LA LIQUEFAZIONE DEI TERRENI

I forti terremoti del 20 e del 29 maggio 2012 sono stati caratterizzati da diffusi fenomeni di “liquefazione” dei terreni che hanno suscitato stupore e preoccupazione fra i cittadini. La liquefazione è un fenomeno che spesso accompagna i terremoti di forte intensità (superiore alla magnitudo 5 della scala Richter). Essa consiste nella perdita di resistenza di terreni saturi d’acqua sottoposti a sollecitazioni sismiche, in conseguenza delle quali i depositi terrosi raggiungono una condizione di liquidità a causa delle fortissime pressioni dell’acqua nei pori. I terreni soggetti a liquefazione sono quelli nei quali la resistenza alle deformazioni è dovuta interamente all’attrito tra i granuli: terreni come le sabbie e i limi. Nei materiali argillosi, che sono dotati di coesione, le forze tra le particelle ne riducono i movimenti; la perdita di resistenza è pertanto graduale e non consente il verificarsi della liquefazione.

I recenti terremoti emiliani hanno avuto i loro epicentri nella bassa pianura modenese e ferrarese, dove sono molto diffusi i depositi sabbiosi e limosi saturi d’acqua degli antichi alvei dei fiumi emiliani. Ciò ha comportato il verificarsi di numerosi casi di liquefazione, con grandi fuoriuscite di acqua mista a sabbia in corrispondenza di fenditure del terreno anche lungo tubazioni di pozzi (vedi figure). Purtroppo una conseguenza della liquefazione è che, dopo la fuoriuscita di grandi quantitativi di sabbia mista ad acqua, il terreno tende ad assestarsi facendo cedere o lesionando costruzioni ed infrastrutture, aggiungendo danni a quelli provocati direttamente dal terremoto.

Prof. Giovanni Tosatti, Docente Geologia Applicata – Università degli studi di Modena e Reggio Emilia

Fig. 00 – Ampia fenditura del terreno con rigetto di 1,5 metri dalla quale è uscita una gran quantità di sabbia liquefatta presso San Carlo (FE)

Fig. 01 – Accumulo di sabbia espulsa da un pozzo (già ripulito) a Sant’Agostino (FE)

EVENTI SISMI DEL MESE DI MAGGIO 2012 NELLA PIANURA PADANA

Sulla base delle notizie storiche, i terremoti violenti che si sono verificati in questo periodo hanno un tempo di ritorno di circa 1000-1500 anni. In altre parole, sismi con magnitudo intorno a 6 sono da considerare per il nostro territorio eventi eccezionalmente rari. Ciò ha contribuito a diffondere tra la popolazione l’errata convinzione che l’Emilia fosse zona non sismica.

E da un certo punto di vista, nemmeno la normativa tecnica è stata di grande supporto. Cerchiamo di ricostruire l’evoluzione della normativa. L’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3274 emanata il 20 marzo 2003 (dopo il sisma in Molise 2002, M=5.8, vittime:30) fornisce una sostanziale evoluzione in materia di classificazione sismica del territorio nazionale e delle normative tecniche per le costruzioni in zona sismica. Viene attribuito un grado di sismicità a tutti i comuni italiani e il territorio nazionale è suddiviso in quattro zone a severità decrescente. Nella Regione Emilia Romagna si passa così da 89 comuni sismici a 341 e per 252 comuni, cioè la grande maggioranza, ciò costituisce una assoluta novità.

I comuni interessati al sisma appartengono alla zona 3 – bassa sismicità.

L’OPCM n. 3274 sarebbe dovuta entrare in vigore l’8 novembre 2004, ma arrivano tre proroghe: OPCM n. 3379 – 6 mesi, l’OPCM n. 3431 – 3 mesi, l’OPCM n. 3452 – 2 mesi ( a partire dal 1 agosto 2005). Nel frattempo, il 23 settembre 2005 viene pubblicata, a cura del Ministero delle Infrastrutture, il D.M. 14 settembre 2005 “Norme tecniche per le costruzioni” (NTC 2005): un provvedimento di oltre 400 pagine che contiene tutta la normativa per la progettazione, verifica e collaudo degli edifici. Parte anche un periodo di 18 mesi di applicazione sperimentale, durante il quale è ancora possibile fare riferimento alla preesistente normativa (D.M. ’96). Dal 23 aprile 2007, le NTC 2005 sono destinate ad essere l’unica normativa applicabile, ma arriva una proroga al 31 dicembre 2007. Le correzioni alle NTC 2005 diventano una vera e propria riscrittura organica e complessiva.

Cosicché, il 4 febbraio 2008 viene pubblicato in Gazzetta il D.M. 14 gennaio 2008, che contiene l’ultima versione delle “Norme tecniche per le costruzioni” (NTC 2008), la cui entrata in vigore è fissata al 5 marzo 2008. Arrivano puntuali due proroghe che fanno slittare al 30 giugno 2010 il regime transitorio, consentendo l’applicazione facoltativa delle nuove NTC 2008, delle NTC 2005 e delle norme previgenti. Tuttavia, la prima proroga al 30 giugno 2009 non si applica alle verifiche tecniche e alle nuove progettazioni degli edifici strategici (ospedali, scuole, etc. ) e alle opere la cui funzionalità assume rilievo fondamentale per la protezione civile. Questo tortuoso processo normativo si interrompe a causa del terremoto in Abruzzo del 6 aprile 2009 (M=6.3, vittime: 308). Il Governo abroga l’ultima proroga e dal 1 luglio 2009 le NTC 2008 sono le uniche norme di riferimento.

Prima di questa data, le costruzioni nella maggioranza dei casi sono state – di fatto – progettate in base al vecchio D.M. ’96, con il quale, per le zone terremotate, si poteva evitare l’analisi sismica. E’ questo il motivo per cui il 90-95% delle costruzioni nelle zone terremotate non sono state dimensionate in base a criteri antisismici. La differenza è sostanziale.

Nel caso di strutture sismo-resistenti cambia completamente la filosofia di progettazione. Rispetto ad una struttura non sismica, progettata essenzialmente per resistere a carichi verticali, quelle sismiche hanno la capacità di fronteggiare lo scuotimento sismico, che nel calcolo è modellato con forze orizzontali posizionate all’altezza degli impalcati.

Precisato che la maggioranza delle costruzioni realizzate nelle zone terremotate non è dotata di strutture idonee a sopportate un sisma, esaminiamo sommariamente gli effetti. A tal fine classifichiamo l’intero patrimonio edilizio in tre grandi categorie: i fabbricati di civile abitazione, le costruzioni storico-monumentali e i capannoni industriali. Se si escludono gli edifici situati in prossimità degli epicentri, dove le accelerazioni sono state comunque troppo elevate, la maggioranza degli edifici di civile abitazione non ha riportato danni importanti. Ciò essenzialmente perché le tecniche costruttive sono tradizionalmente buone. In particolare, sono praticamente assenti le tipologie di murature a sacco, in pietra o in ciottolame, frequenti invece in Abruzzo. Le costruzioni storico-monumentali hanno riportato globalmente danni severi. In pratica, le murature si sono sgretolate, poiché le malte appaiono generalmente di qualità scadente. Con i necessari lavori di manutenzione, in molti casi, si sarebbe evitato il peggio. I capannoni industriali hanno subito numerosi danni, al punto che questo terremoto viene già detto “il terremoto delle fabbriche”. Così come già accaduto nel terremoto del Friuli ’76, le strutture dei capannoni sono collassate per mancanza dei collegamenti tra travi e pilastri. In pratica, le travi sono semplicemente appoggiate sulle teste dei pilastri e si sfilano durante il sisma, vincendo l’attrito. In generale, mancano anche i collegamenti dei pannelli di tamponamento e dei tegoli di copertura con le travi di bordo. Si può osservare che il dimensionamento dei collegamenti è regolamentato dalle NTC 2008, mentre non vi sono regole di progettazione per essi nel D.M. ’96.

Prof. Angelo Marcello Tarantino, Docente di Scienza delle Costruzioni e Teoria della Elasticità – Università degli studi di Modena e Reggio Emilia

TERREMOTO: INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE

In occasione di questi terremoti, si sono diffuse notizie del tutto prive di fondamento, amplificate dai social networks. Il ruolo di giornali e televisioni può essere dunque molto importante per una corretta e responsabile informazione in maniera da non aggiungere ulteriore al panico al già giustificato panico delle popolazioni.

• Nessuna attività dell’uomo (sondaggi, perforazioni, prelievi di idrocarburi, prelievi di acqua ecc) può creare o indurre terremoti di intensità pari a quelli avvenuti. La profondità degli ipocentri dei terremoti registrati è generalmente superiore a 5-6 km, spesso oltre 10 km, e l’energia in gioco è tale da escludere qualunque possibile legame con attività umane. Nella nostra pianura terremoti di intensità simile si sono verificati anche in passato (vedi il terremoto interminabile e distruttivo di Ferrara e del ferrarese del 1570), anche quando le perforazioni per idrocarburi non esistevano. Fra l’altro – va ricordato – che le zone dove c’è attualmente un enorme prelievo di gas e petrolio (Arabia Saudita, Mare del Nord al largo della Norvegia) sono praticamente asismiche.

• Il fenomeno di “FRACKING” di cui tanto si parla, è una tecnica utilizzata in USA, Canada e solo marginalmente in nord Europa per lo sfruttamento di gas (metano) disperso in sedimenti argillosi (shale gas). Per aumentare il prelievo, si utilizzano tecniche di microfratturazione idraulica del sedimento. In alcuni casi questa tecnica crea una MICRO-sismicità che può essere problematica proprio perché riguarda sedimenti piuttosto superficiali. In Francia infatti hanno sospeso le prime ricerche. In Italia non esistono sedimenti che contengano metano sfruttabile in modo significativo (shale-gas). Inoltre nessuna di queste ricerche o sfruttamento può essere fatta “di nascosto” perché richiedono impianti complessi e visibilissimi.

• Non esistono nel sottosuolo della nostra pianura “caverne, voragini o vulcani”. La sabbia che abbiamo visto fuoriuscire dalle fratture e dai pozzi viene dagli strati sabbiosi presenti nelle prime decine di metri di profondità del sottosuolo, in corrispondenza di paleoalvei fluviali, trascinata dall’acqua per effetto della propagazione delle onde sismiche.

• Problema della magnitudo dei terremoti. Sono circolate notizie in base alle quali verrebbero diffusi dati volutamente errati sulla magnitudo per evitare risarcimenti dei danni. Si confonde la scala Richter (che misura la magnitudo) con la scala Mercalli (che si basa sulla valutazione dei danni)

• Il solo modo per far fronte a questi terribili eventi è fare in modo che le costruzioni e le infrastrutture siano costruite in modo idoneo e che ci sia una corretta conoscenza e classificazione sismica del territorio. Altrettanto importante è che la gente sia informata correttamente e non si diffondano notizie prive di fondamento che creano panico.

Prof. ssa Daniela Fontana, Docente di Geologia – Università degli studi di Modena e Reggio Emilia

INIZIATIVE DIDATTICHE E SCIENTIFICHE UNIMORE SUI RISCHI NATURALI

UNIMORE negli ultimi anni ha dimostrato grande interesse e sensibilità per l’attualissimo tema dei rischi naturali e relative emergenze sia dal punto di vista della ricerca scientifica (attraverso convenzioni e collaborazioni con la Provincia di Modena, la Regione Emilia-Romagna e il Dipartimento della Protezione Civile Nazionale), sia a livello di offerta formativa.

A testimonianza di ciò i docenti di Scienze della Terra hanno svolto una intensa attività nelle zone più colpite, nell’immediato post-terremoto, di rilevamento degli effetti sismoindotti anche in collaborazione con geologi di altri Atenei, dell’INGV, CNR, ISPRA, Regione Lazio, etc. (Vedi scheda Effetti Ambientali sismoindotti).

Riguardo all’attività didattica, si sottolinea come il nostro Ateneo sia l’unico in Italia a proporre nell’ambito della propria offerta formativa un corso di “Rischi geologici e protezione civile”, che costituisce un insegnamento fondamentale della Laurea Magistrale in Scienze e Tecnologie Geologiche. Quest’anno il corso è stato tenuto in lingua inglese nell’ambito del processo di internazionalizzazione dell’Università e ciò ha stimolato la frequenza anche da parte di vari studenti stranieri presenti in Ateneo nell’ambito del Programma Erasmus.

Naturalmente il tema del rischio sismico è stato ed è parte integrante dei contenuti del corso e i nostri studenti hanno avuto la possibilità di toccare con mano come la Protezione Civile gestisca grandi emergenze nell’ambito di una visita al Dipartimento della Protezione Civile Nazionale durante la quale gli studenti hanno potuto accedere alla Sala Situazioni e osservare in diretta le modalità e procedure di gestione dell’emergenza terremoto in Emilia.

Degno di nota anche il fatto che l’Università di Modena e Reggio Emilia dal 2006 al 2010 abbia contribuito a preparare esperti nella gestione delle emergenze annoverando nella propria offerta il Master in Gestione dell’Emergenza Nazionale e Internazionale.

Dall’anno accademico 2009-10 è invece attivo un Master in Cooperazione Internazionale, che prevede un Indirizzo Emergenze nell’ambito del quale si tratta anche di aspetti legati alla previsione, prevenzione e gestione dei rischi naturali (tra cui quello sismico), in stretta collaborazione con la Protezione Civile provinciale e nazionale.

Prof. Mauro Soldati, Docente Rischi Geologici e Protezione Civile – Università degli studi di Modena e Reggio Emilia

Immagine, da destra: Prof. Mauro Soldati, docente di Rischi geologici e protezione civile; Prof. Stefano Conti, docente di Geologia regionale; Prof. Maurizio Mazzucchelli, Direttore del Dipartimento di Scienze della Terra; Prof. Aldo Tomasi, Rettore dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia; Prof. ssa Daniela Fontana, docente di Geologia; Prof. Marcello Tarantino, docente di Teoria della elasticità e Scienze delle Costruzioni