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Modena: i dati demografici del decennio 1996-2006


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La popolazione rimane stabile grazie all’afflusso di immigrati stranieri. Le giovani coppie e gli immigrati tendono a trasferirsi nei Comuni della cintura. Tra gli italiani aumenta progressivamente il numero degli anziani. È la fotografia di Modena che emerge dai dati demografici del decennio 1996-2006 rilevati dal Servizio Statistica del Comune.


Negli ultimi 10 anni la crescita media annua della popolazione è stata di poco meno dello 0,3%, con una costante diminuzione dei residenti di cittadinanza italiana nativi della provincia di Modena (dal 68,9% al 61% del totale), e un considerevole aumento della popolazione straniera, che è quasi triplicata e rappresenta il 10% del totale. Dai 175 mila abitanti del 1996, Modena è arrivata nel 2006 a 180 mila residenti: il 2,8% in più. Il tasso di natalità è in lieve ripresa grazie alle nascite di bambini stranieri, ma il saldo naturale resta negativo: la crescita e il ringiovanimento della popolazione dipendono dall’immigrazione, soprattutto straniera.

Se si guarda ai movimenti migratori della popolazione residente nell’ultimo decennio, si nota che circa il 60% degli immigrati tende a trasferirsi dalla città agli altri comuni della provincia, soprattutto quelli confinanti (oltre il 30% dei trasferimenti). Il numero di famiglie residenti in città è aumentato del 12,7% in dieci anni: le famiglie italiane sono il 3% in più rispetto al 1996, mentre quelle straniere sono quadruplicate, anche grazie ai ricongiungimenti familiari. Le famiglie miste sono raddoppiate, raggiungendo il 2% del totale. Aumentano i single, cioè le famiglie composte da una sola persona: dal 26,8% del 1996 sono passate al 35,5% del 2006, anche per effetto dell’aumento degli anziani soli.
Nei comuni confinanti si registrano, rispetto al capoluogo, un saldo naturale positivo, una minore incidenza degli stranieri e una forte crescita, vicina all’1,8% annuo. Inoltre la struttura della popolazione è più giovane, con meno anziani e più bambini. L’indice di vecchiaia di Modena, infatti, supera quasi del 50% quello della cintura.
Le previsioni per Modena nel 2027 sono di un numero di abitanti variabile tra poco più di 190mila e oltre 202 mila abitanti. Secondo le stime, nei prossimi 20 anni la mortalità dovrebbe essere in calo in tutte le fasce d’età e la fecondità in aumento. L’andamento demografico dipenderà perciò dai movimenti migratori.
Se l’area di Modena manterrà i suoi punti di forza – industria robusta, redditi alti e numerose opportunità di lavoro – la crescita annua raggiungerà lo 0,6% per arrivare nel 2027 a oltre 202 mila abitanti. In questo caso, per la cintura si prevede una crescita dell’1,25%, più contenuta che in passato, e una popolazione di 159 mila abitanti. Raddoppieranno gli ultranovantenni e la popolazione aumenterà in tutte le fasce d’età. Crescerà anche il numero di famiglie, ma sempre più piccole.
Se invece Modena dovesse diminuire la propria capacità di attrarre immigrazione, il tasso di crescita rimarrebbe quello attuale: 0,3% per la città e 0,88% per la cintura. Il calo dell’immigrazione determinerebbe un ulteriore invecchiamento della popolazione, un aumento delle famiglie con un solo componente e una contrazione della crescita in particolare nella fascia d’età 30-39 anni.

Casa e lavoro quasi sempre in automobile
Aumenta per i modenesi la distanza media percorsa tra l’abitazione e il luogo di lavoro. Il 60% degli spostamenti tra casa e lavoro o casa e scuola dura però meno di 15 minuti, perché l’uso dell’automobile è dominante, anche per distanze molto brevi.
L’incremento della distanza media tra casa e lavoro si deve soprattutto al progressivo incremento della popolazione che risiede nei comuni confinanti (Bastiglia, Bomporto, Campogalliano, Castelfranco Emilia, Castelnuovo Rangone, Formigine, Nonantola, Ravarino e San Cesario).

A Modena lavorano 95.500 persone, di cui quasi tre quarti (74%) risiedono in città e un quarto (26%) proviene dal resto della provincia, da Bologna o da Reggio Emilia. Degli 87.800 lavoratori residenti in città, l’80% lavora a Modena, il 6% nella zona di Sassuolo, il 4% a Bologna, e il resto nella cintura. Il numero più alto di spostamenti è quello tra la città e i distretti produttivi di Sassuolo, Fiorano e Carpi.
I lavoratori tendono a spostarsi non solo vicino alla zona di residenza, ma sull’intero territorio modenese e verso le province confinanti. I principali punti di attrazione sono l’area del capoluogo e i comuni della fascia pedemontana. Nella provincia di Modena, i tempi di spostamento sono più bassi sia della media regionale sia di quella italiana proprio per un uso particolarmente intenso dell’automobile, anche nelle distanze inferiori a 4 chilometri.

Industrie competitive sui mercati esteri
Una popolazione di oltre 7200 imprese che impiegano più di 114 mila persone, con il settore manifatturiero che contribuisce a oltre il 30% del valore aggiunto del territorio modenese. Solo alcune regioni della Germania meridionale, della Francia e dell’Olanda mostrano in Europa la stessa forza produttiva in termini di produzione industriale. Le imprese manifatturiere modenesi hanno generato nel corso del 2007 un fatturato di 30,7 miliardi di euro, di cui il 38,5% con clienti esteri. In base ai dati Istat, tra il 2000 e il 2007, il valore delle esportazioni modenesi è aumentato cumulativamente del 37,9 per cento. Una variazione dovuta soprattutto all’aumento dei prezzi medi ma anche all’incremento delle quantità, nella misura del 6%.
Le imprese meccaniche coprono complessivamente il 35% degli occupati e il 34% del volume d’affari. Il tessile abbigliamento mantiene un numero elevato di imprese, un quarto del totale, ma rappresenta poco più di un decimo in termini di occupati e di fatturato. Discorso opposto per l’industria dei mezzi di trasporto e quella alimentare: poche imprese ma con un peso significativo in termini di addetti e fatturato. Gli altri settori rilevanti sono la fabbricazione di piastrelle (16% degli occupati e 13% del fatturato), il biomedicale (4% e 3%) e le apparecchiature elettriche ed elettroniche (5% degli addetti e 3% del fatturato). Le imprese modenesi sono piuttosto piccole rispetto a quelle europee, in particolare nei settori della meccanica e del tessile abbigliamento, dove, più delle economie di scala, conta la specializzazione di distretto. Le imprese più grandi fanno parte di gruppi multinazionali che inseriscono Modena in una rete più vasta, estendendo lo sbocco dei prodotti locali all’interno del gruppo o su nuovi mercati.

Il 47% della ricchezza provinciale
Il sistema locale del lavoro di Modena, formato dalla città e dagli 8 comuni più vicini, produce il 47% della ricchezza della provincia. Se si guarda a Modena insieme a Bastiglia, Bomporto, Campogalliano, Castelfranco Emilia, Castelnuovo Rangone, Nonantola, Ravarino e San Cesario si ottiene un’entità socio economica da 255 mila abitanti e 155 mila posti di lavoro, pari al 44% dei posti di lavoro della provincia. L’82% degli occupati in quest’area risiede a Modena città o nei comuni confinanti e la ricchezza media pro capite è pari a 35 mila euro, il 20% in più rispetto alla media provinciale. Nell’ultimo decennio i posti di lavoro del sistema locale sono cresciuti a un ritmo medio annuo dell’1,3% (rispetto allo 0,9% della provincia e all’1% della regione). Ogni giorno, circa 27 mila persone entrano per lavoro nell’area vasta di Modena e 7 mila escono per lavorare altrove.
Il valore aggiunto del sistema locale del lavoro di Modena, pari a 9,2 miliardi di euro, è cresciuto nell’ultimo decennio a un ritmo medio annuo del 4,5%, spinto soprattutto dai servizi, e superiore ai valori provinciale e regionale. La particolarità della città è che il settore trainante è quello dei servizi, terziario e commercio, che conta per il 72% del valore aggiunto contro il 48,8% nel resto della provincia. L’industria, escluse le costruzioni, contribuisce al 21,9% della ricchezza prodotta contro il 41,7% degli altri comuni della provincia. In regione il peso dell’industria è pari al 27% mentre a livello nazionale scende al 20,6%. La struttura industriale sta vivendo un processo di ristrutturazione e consolidamento, che spesso vede il trasferimento della produzione all’estero.
Il sistema locale del lavoro di Modena conta 25.200 imprese private, di cui l’88% sono micro aziende da 1 a 5 addetti, concentrate nell’edilizia. Solo lo 0,1% sono grandi imprese con oltre 250 addetti. La dimensione media delle imprese è di 4,9 dipendenti, rispetto ai 3,8 addetti occupati nella media delle aziende italiane, ai 6 delle imprese europee, ai 10 di quelle giapponesi e ai 19 di quelle americane. A partire dal 2000 il ritmo di crescita media annua è stato pari all’1,3%, mentre l’occupazione è cresciuta dell’1,1%. Dei 112 mila lavoratori del sistema locale, circa due terzi hanno un contratto di lavoro dipendente. Dal 2000 ad oggi, su 8 mila persone entrate nel mercato del lavoro, quasi 7 mila sono impiegate in servizi avanzati, logistica trasporti, ristorazione o sanità.
La tenuta occupazionale delle imprese industriali di Modena e cintura si discosta dall’andamento del resto della provincia, dove l’occupazione è calata in modo significativo. Lo si deve alla tenuta dei posti di lavoro in importanti settori di specializzazione della città come le industrie alimentari e meccaniche. Nonostante le strettissime relazioni con i poli produttivi della provincia e della regione, il capoluogo e l’hinterland mostrano alcune specificità: accanto a una solida base industriale, sono il luogo privilegiato per l’insediamento delle principali imprese del terziario e delle sedi centrali di molte aziende della provincia. L’economia urbana si distingue quindi per la forte concentrazione di imprese dei servizi e per il progressivo spostamento delle attività più strettamente manifatturiere al di fuori di Modena e della sua cintura.

Commercio: in città 3000 piccoli punti vendita
Il commercio a Modena conta circa 3.400 imprese. Distribuite in modo omogeneo sul territorio comunale, sono articolate in diverse forme: tre grandi ipermercati, una decina di centri di vicinato di quartiere, molti minimarket e oltre tremila piccoli punti vendita. Dall’inizio degli anni ’90, con lo sviluppo delle medie e grandi strutture, al polo di servizi tradizionale del centro storico si sono affiancati i nuovi centri commerciali periferici. In base ai dati dell’Archivio commercio del Comune di Modena, il settore mostra un turnover elevato ma un andamento positivo: nel 2007 l’indice di natalità di nuove imprese è stato dell’8,5% a fronte di una mortalità del 6,4%, con uno sviluppo netto di poco superiore al 2%. Negli ultimi sette anni la crescita dei punti vendita è stata del 12,3%, molto più alta rispetto all’aumento della popolazione (1,7%). Nel comparto alimentare la crescita è stata del 10,8% e nel non alimentare del 12,7% . Prevalgono decisamente i negozi più piccoli (fino a 250 mq di superficie di vendita), i cosiddetti esercizi di vicinato, che sono il 93,3% del totale nell’alimentare e il 94,5% nel non alimentare.
Nel settore alimentare, i negozi di vicinato sono cresciuti del 13% a partire dal 2000, anno di entrata in vigore del decreto Bersani, scelto per semplicità come punto di partenza dell’analisi. I negozi non alimentari mostrano un andamento più dinamico e una vasta gamma di offerta. La distribuzione però è meno equilibrata: in centro storico c’è soltanto un negozio di superficie medio grande, mentre altri tre sono concentrati nel polo di Cittanova, dove è prevista anche un’altra grande superficie non alimentare di 10 mila metri quadri.
In centro storico, a fine 2007, i punti vendita erano ben 898: su una superficie pari all’1% della città si trova oltre un quarto (26,4%) della rete commerciale al dettaglio. Il peso dei negozi di piccole dimensioni è ancora più forte in centro storico che nel restante territorio comunale. Il non alimentare costituisce l’86% dei negozi del centro, soprattutto prodotti ad alto impatto emotivo come abbigliamento e accessori, profumerie, gioiellerie. Un terzo dei punti vendita si concentrano sugli assi della via Emilia e di corso Canalchiaro.

I dati dell’Osservatorio Regionale del Commercio registrano in provincia una complessiva crescita del comparto, con un assetto equilibrato e un’offerta diversificata. Nel settore alimentare sono presenti diverse grandi strutture sopra i 2500 metri quadri, con un dato di 80,3 metri quadri di superficie ogni 1000 abitanti molto al di sopra della media regionale. In provincia sono attivi 10 centri commerciali di grande dimensione, di cui l’ultimo aperto nel 2005 a Carpi e gli altri localizzati nei comuni di Modena, Sassuolo, Castelfranco Emilia, Mirandola e Vignola. Nel settore extra alimentare la rete è ancora costituita in prevalenza da piccoli e medi esercizi. La dotazione di grandi strutture non alimentari è scarsa: 35,8 metri quadri di superficie per ogni 1000 abitanti, pari alla metà della media regionale e a un terzo di Bologna.

Nell’occupazione ci sono diseguaglianze
Un mercato del lavoro solido con un tasso di occupazione del 68,8% e una disoccupazione del 3,2%, poco più di metà della media nazionale. I valori della città di Modena rimangono vicini a quelli delle regioni europee più avanzate e all’obiettivo del 70% di occupazione fissato dall’Unione Europea per il 2010.
I lavoratori con contratti precari sono pari al 14% degli occupati in città e guadagnano meno degli occupati stabili, tanto che un terzo di loro è in condizione di povertà. Per i lavoratori più giovani e con titoli di studio più elevati il precariato è una tappa di un percorso che porta alla stabilizzazione. Rischiano invece di restare ingabbiati in questa condizione i lavoratori dei servizi operativi come call center, facchinaggio o pulizie, quasi sempre stranieri. Un’altra disuguaglianza riguarda le donne, che anche a parità di qualifica guadagnano meno degli uomini, in media circa 7 mila euro in meno ogni anno.
Più della metà degli occupati nel comune di Modena lavora nel settore terziario (52%), il 46% nell’industria (incluso il settore delle costruzioni) e solo il 2% nell’agricoltura. Se dagli occupati nei servizi si escludono i dipendenti della pubblica amministrazione (26%) emerge con più forza il peso rilevante dell’industria, a conferma del fatto che l’economia modenese è tradizionalmente e fortemente incentrata sulla manifattura. Il rimanente 26% occupato nel terziario lavora nel campo dei servizi avanzati alle imprese, in particolare manifatturiere.
A Modena la quota di lavoratori con forme contrattuali precarie è più alta che negli altri comuni della provincia, dove si ferma all’11%. Quasi due terzi dei lavoratori precari hanno meno di 35 anni e pur essendo più istruiti (il 31% dei precari è laureato contro il 17% dei non precari), guadagnano circa il 40% in meno degli occupati stabili. Appartengono più frequentemente a famiglie disagiate e un terzo di loro è in condizione di povertà.
Le donne modenesi hanno un reddito annuale da lavoro inferiore di oltre 7.000 euro a quello degli uomini e una probabilità più che doppia di ricadere nella povertà. Il divario salariale si spiega col minor numero di ore lavorate, data la maggiore diffusione del part time. Ma la remunerazione oraria delle donne è più bassa anche a parità di qualifica professionale. Gli immigrati da aree nazionali ed estere a basso reddito hanno un reddito da lavoro più basso e sono più a rischio di povertà. Il profondo divario che separa i redditi dei lavoratori immigrati da quelli dei modenesi di più lunga data crea due mercati del lavoro difficilmente comunicanti. Nel comune di Modena è più diffusa la presenza di lavoratori immigrati e precari, ma anche di donne occupate per la maggior diffusione dell’occupazione part time, una maggior concentrazione dell’occupazione nei settori delle professioni e dei servizi e livelli di istruzione notevolmente più elevati.
A Modena si guadagna in media di più rispetto al resto della provincia, ma le differenze salariali sono più accentuate: i dirigenti guadagnano molto più degli operai, i lavoratori anziani molto più dei giovani. Ci sono più posizioni lavorative con livelli elevati di autonomia, mentre nei lavori dotati di minore autonomia colpisce l’elevatissima concentrazione di immigrati.
Emerge una decisa spaccatura tra i lavoratori anche rispetto al grado di soddisfazione per il proprio lavoro: un terzo è poco o per nulla soddisfatto di ciò che fa, mentre il 40% del totale lo è molto. I residenti nel capoluogo sono mediamente più soddisfatti del proprio lavoro rispetto a chi vive in provincia. Le variabili che influenzano maggiormente il grado di soddisfazione sono quelle più fortemente correlate anche con un alto reddito: il titolo di studio, l’origine del capofamiglia, lo svolgimento di un lavoro non manuale e con forti gradi di autonomia decisionale. I modenesi chiedono al proprio lavoro soprattutto qualità e reddito, non un impegno limitato di tempo.
I tassi di occupazione sono elevatissimi sia per gli uomini sia per le donne, ma il reddito totale (annuo o mensile) aumenta in buona misura solo grazie ad un maggiore sforzo in termini di ore lavorate e aumentano i lavoratori a basso reddito, a conferma dell’incremento delle disuguaglianze tra i lavoratori, seppur all’interno di una situazione di eccellenza rispetto al resto del Paese, in termini di ricchezza e sua distribuzione.

Scuola: le imprese puntano sugli Istituti tecnici
Gli iscritti alle scuole superiori del distretto di Modena nell’anno scolastico 2007-2008 sono 11.822, con una crescita dell’1,3% rispetto a 10 anni fa. Gli iscritti ai Licei classici, scientifici e socio-psico-pedagogico sono passati da 3.752 a 4.214, mentre quelli degli istituti tecnici sono diminuiti sensibilmente, attestandosi a 4.778.

Calano del 58% gli studenti del tecnico commerciale Barozzi, e del 16% quelli dell’istituto per geometri Guarini, mentre continua a crescere il linguistico Selmi, l’unico istituto tecnico in provincia con questo indirizzo.

Il risultato di questo andamento è che la domanda di personale tecnico qualificato da parte delle imprese, specialmente meccaniche, si scontra con un’offerta di lavoro non sempre adeguata: le nuove generazioni propendono più verso la gamma dei lavori immateriali e i lavoratori immigrati sono spesso privi delle necessarie conoscenze.

Tra gli istituti professionali diminuiscono molto (32%) gli iscritti del commerciale Cattaneo, mentre cresce l’artistico Venturi, che, come già detto per il Selmi, non ha concorrenti in tutta la provincia. Il professionale industriale Corni è un caso a sé: cresce come numero di iscritti ma ha il più alto tasso di abbandoni: 13% contro l’1,6% di media dei licei e il 5,5% di media degli altri istituti. Per il Corni e il Cattaneo ci sono criticità legate alla popolazione scolastica, con numerosi alunni handicappati, casi sociali e studenti stranieri di prima immigrazione. In tutte le scuole, tranne i Licei, aumenta la provenienza degli iscritti da fuori distretto, anche a causa dell’aumento della popolazione della cintura.
I dati dell’indagine 2004 dell’Amministrazione Provinciale sui diplomati del 2000 mostrano un aumento del numero di diplomati che proseguono gli studi. Il distretto di Modena si caratterizza inoltre per l’elevato numero di diplomati che proseguono gli studi (52,6%) rispetto al resto della provincia. La scelta post diploma è condizionata anche dal sesso: la differenza fra femmine e maschi in coloro che proseguono gli studi è di 8,4 punti percentuali in più a favore delle ragazze. La percentuale di iscritti all’università fra i giovani diplomati della provincia modenese sale ulteriormente, avvicinandosi al 49%, valore particolarmente elevato anche per una regione del Nord Est. Quasi il 60% degli studenti è iscritto all’università di Modena e Reggio Emilia ed un altro 37% circa ad altri atenei della regione. A scegliere la propria università fuori dai confini regionali è il 3,7% degli studenti, con un forte appeal degli atenei milanesi, soprattutto la Bocconi.

Reddito: a Modena più diseguale
È aumentato del 3%, tra il 2002 e il 2006, il numero di poveri in provincia di Modena. Nel 2002 la società modenese risultava più ricca e più egualitaria della media nazionale e delle regioni del Nord, simile ai modelli di welfare scandinavi, anche per l’elevata partecipazione delle donne al mercato del lavoro. La povertà, più contenuta della media, si concentrava tra anziani soli e famiglie operaie con prole e casa in affitto.

Nel quadriennio 2002-2006 il reddito nel Comune di Modena rimane molto più elevato rispetto al dato nazionale (27.256 euro contro 18.324), supera del 10% la media della provincia e del 26% quella delle regioni del nord. Nello stesso periodo però la distribuzione del reddito è diventata più diseguale, soprattutto in città. In città infatti, nonostante la maggiore occupazione nei settori delle professioni e dei servizi, è presente una maggiore quota di donne occupate, lavoratori immigrati e giovani con contratti precari, che rappresentano i segmenti deboli del mercato del lavoro.
Il tasso di povertà è misurato sulla linea di povertà nazionale, pari nel 2006 a 9.481 euro. Quasi la metà dell’incremento del numero dei poveri si concentra tra i residenti in città. A livello provinciale, la percentuale di poveri (6,6%) più bassa di quella nazionale (19,6%) e del Nord (8,2%) è quasi raddoppiata, in controtendenza rispetto a un dato nazionale stabile.

Nel complesso, il reddito da lavoro dei modenesi è aumentato del 10%: 12% per le donne e 8% per gli uomini. In termini assoluti il reddito delle donne rimane però inferiore a quello maschile: poco più di 15mila euro contro oltre 22 mila. Sono stabili in termini reali i redditi di operai, liberi professionisti e imprenditori, sotto la media invece gli impiegati. I redditi dei giovani fino a 35 anni sono i più bassi e sono scesi del 6% in quattro anni, mentre quelli degli ultracinquantenni, oltre a essere i più alti, sono cresciuti del 9%. Il reddito medio, anche per i più giovani, aumenta al crescere del livello d’istruzione. Il reddito orario di un laureato è quasi il doppio rispetto a chi ha soltanto la licenza media. Tra le donne aumentano i redditi delle laureate, mentre tra gli uomini sono i bassi titoli di studio a far segnare i guadagni più significativi.