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Cinema di fantascianze: due serate al Museo della Figurina di Modena


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Per bloccare l’intervento distruttivo che l’automa Gort in “Ultimatum alla Terra” (Robert Wise, 1951) si accinge a compiere, dopo che gli umani hanno ferito a morte il suo padrone Klaatu, Helen si rivolge a lui in linguaggio alieno con una formula rimasta famosa tra gli amanti di fantascienza: Klaatu Barada Nikto!
E questo è il titolo che è stato scelto per le due conferenze sul cinema di fantascienza organizzate dal Museo della Figurina venerdì 24 ottobre e venerdì 14 novembre alle 21 nella sede di Palazzo santa Margherita, in corso Canalgrande 103.

Il critico Alberto Morsiani, esperto di film americano e di cinema di genere, ha scelto e commenterà una serie di sequenze tratte da celebri film di fantascienza vecchi e nuovi, di serie A e di serie B. Nella prima serata, “Incubi”, si compieranno incursioni tra temi e figure del genere dal punto di vista della minaccia (aliena o generata dall’uomo stesso), dagli scienziati pazzi alle gelatine, dai mondi perduti agli omini verdi, dalle paranoie alle miniaturizzazioni. Tra i film selezionati, opere di Stanley Kubrick (i capisaldi “Dottor Stranamore” e “2001 Odissea nello spazio”), Werner Herzog (“Ignoto spazio profondo”), Tim Burton (“Mars Attacks!”), Peter Jackson (“King Kong”), ma anche di “geni” minori come Jack Arnold (“Il mostro della Laguna Nera”, “Radiazioni BX distruzione uomo”), Richard Fleischer (“Viaggio allucinante”), Stuart Gordon (“Re-animator”), Philip Kaufman, Chuck Russell e tanti altri.
La seconda serata si concentra invece sulle “Visioni” del futuro, soffermandosi su temi quali le città del futuro, la fine del mondo, il Grande Fratello, l’estinzione dell’uomo, le razze superiori, ma anche sulle incursioni di grandi comici nel genere: Woody Allen nel “Dormiglione”, Mel Brooks in “Balle spaziali”. Autori noti come François Truffaut, Jean-Luc Godard, Steven Spielberg, perfino un inedito Lars von Trier si mescolano a registi minori ma significativi per il genere quali Rudolph Maté e Franklin Schaffner. Ci sono registi recenti quali Kathryn Bigelow (“Strange Days”) e l’ottimo Danny Boyle (“Sunshine, 28 giorni dopo”) e grandi autori del muto che sapevano guardare anche alle avanguardie artistiche (costruttivismo e cubofuturismo): Fritz Lang nel famosissimo “Metropolis”, Protazanov nel meno noto ma eccezionale “Aelita”. In totale, si tratta di una trentina di film nelle due serate. Non si tratta di una storia del cinema di fantascienza, ma di una serie di incursioni nel genere che mettono in corto circuito temi e personaggi, vecchio e nuovo, alto e basso. Nella consapevolezza che la fantascienza è innanzitutto un dispositivo dell’immaginazione che gli uomini si sono dati come antidoto possibile a un mondo sempre più dominato dalla scienza e dalla tecnica fin da quando, agli inizi del ‘600, Galileo Galilei, mettendo a punto la nozione di prova sperimentale, ha una volta per tutte avviato, in occidente, quel processo di separazione tra “natura” e “civiltà” che è proseguito fino ai giorni nostri. Se la fantascienza è la finzione del possibile, una fantasia che poggia su ipotesi scientifiche in qualche misura credibili per aprire le finestre dell’immaginazione, allora è davvero uno dei generi più progressisti, una via di fuga dal mondo del controllo globalizzato e degradato dalla tecnica. Ecco perché tanto spesso volentieri la fantascienza si rivolge all’indietro, al mito, al passato, invitando, come fece Platone nel “Timeo” duemila cinquecento anni fa, a “volgere lo sguardo dalla Terra verso il Cielo”.