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Andamento infortunistico in Provincia di Reggio Emilia nel triennio 2005/2008


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Secondo i dati estratti da Bancadati INAIL, nel triennio 2005 – 2007 il trend degli infortuni sul lavoro indennizzati a Reggio Emilia è complessivamente in calo passando da 9.889 nel 2005 a 9.430 nel 2007 (- 4,6% ).

Il trend in diminuzione risulta confermato anche dalla analisi dei due macro-settori economici “agricoltura” e “industria-commercio-servizi”: in misura più marcata nell’agricoltura (- 12,1%) ove però occorre tenere presente un forte calo anche dell’occupazione (fonti ISTAT) e più lieve invece nell’industria (- 4%), dato ancor più rilevante tenuto conto che gli addetti dell’industria sono aumentati nel triennio del 2,3%.
A queste considerazioni deve poi aggiungersi che circa il 14-15% del totale degli eventi è da imputarsi ad incidenti stradali, in itinere (ossia sul tragitto casa-lavoro) e durante il lavoro.
Questa quota di infortuni va tenuta distinta dagli infortuni che avvengono nell’ambiente di lavoro in quanto è totalmente diversa la natura del rischio che li determina che richiede mezzi e strategie differenti di prevenzione.
Per valutare correttamente il fenomeno infortunistico però, poiché i numeri assoluti sono influenzati dalla crescita o dalla diminuzione degli occupati, occorre mettere in relazione tra loro i due dati – numero di occupati e infortuni – attraverso l’indice di incidenza che evidenzia quanti lavoratori si sono infortunati ogni 100 occupati.

Per quanto riguarda la gravità, gli infortuni con postumi permanenti in industria e in agricoltura complessivamente, sono stati – nel periodo 2005-2007 – circa 600 ogni anno ovvero circa il 6% del totale degli infortuni indennizzati.
Infortuni mortali
Di seguito si riporta un’analisi degli infortuni mortali del territorio reggiano dal 2005 al 2008 realizzato in collaborazione dall’INAIL di Reggio Emilia e dall’OREIL (Osservatorio Regionale per gli Infortuni sul Lavoro) situato presso la AUSL di Reggio Emilia. Per evitare il problema delle rilevazioni difformi di questi dati da parte dei due Enti – che seguono diversi criteri di classificazione – si sono “incrociati” i dati in possesso di entrambi per pervenire ad un comune criterio di classificazione basato sulla territorialità e sul rischio, più funzionale alla rilevazione effettiva del fenomeno e ad una analisi finalizzata alla prevenzione sul territorio.
Gli infortuni mortali, dal 2005 al 2008 sono stati 51, di cui 21 stradali,in “itinere” e sul lavoro (41,2%), 8 avvenuti in agricoltura (15,7%) e 22 nell’industria-commercio e servizi (43,1%).
Nell’ambito degli infortuni avvenuti nell’industria, ben il 50% sono imputabili al solo comparto edile, che proprio per questo rischio elevato di infortuni gravi è oggetto di un piano di vigilanza permanente da parte degli Enti deputati alla prevenzione e ai controlli sul territorio.
Fra le modalità di accadimento dei mortali quella più frequente è l’incidente stradale (che rappresenta il 41,2% del totale), seguito dagli schiacciamenti (35,3%) e dalle cadute dall’alto (13,7%).
Considerando ora i soli infortuni mortali non stradali (58,8% del totale), i lavoratori deceduti nel periodo di riferimento sono per poco meno della metà lavoratori autonomi (6 artigiani e 8 coltivatori diretti) contro 16 operai: questo dato induce a riflettere sul bisogno di formazione dei lavoratori autonomi che essendo i soli responsabili della propria sicurezza tendono troppo spesso a trascurarla con conseguenze a volte gravissime.
Questo problema emerge con una evidenza ancora più grande se si considera che degli 8 coltivatori diretti deceduti ben 5 erano pensionati, di cui alcuni addirittura ultraottantenni: sono soggetti ad altissimo rischio di mortalità sia perché svolgono lavori gravosi in condizioni fisiche non più ottimali, sia perchè – in prossimità dell’abbandono della attività spesso utilizzano mezzi ormai del tutto inadeguati che non mettono a norma.
Ancora più evidente è la condizione di rischio mortalità cui sono esposti i lavoratori stranieri: su 16 infortuni mortali occorsi agli operai, ben 7 hanno riguardato questa categoria, che viceversa costituisce solo il 10% degli operai (ISTAT 2006).

In conclusione: se si vuole fare qualcosa per ridurre la piaga dei mortali nel nostro territorio, i settori ai quali dobbiamo guardare sono l’edilizia, l’agricoltura, e anche la strada, responsabile della metà di queste morti: dobbiamo guardare alle fasce deboli rappresentate dai lavoratori autonomi, custodi da soli della propria sicurezza, il cui rischio aumenta progressivamente con l’età: e particolare attenzione deve essere riservata ai lavoratori stranieri, sempre a rischio per i settori più pericolosi e faticosi in cui lavorano e per le loro difficoltà culturali, tecnologiche e linguistiche.