Il problema rappresentato da “una vera e propria esplosione demografica” di cinghiali, caprioli, e cervi nell’Appennino reggiano e i conseguenti danni provocati all’agricoltura sono stati al centro di un’interpellanza di Fabio Filippi (pdl), alla quale ha risposto l’assessore regionale all’agricoltura, Tiberio Rabboni. Il consigliere ha chiesto se la Regione sia intenzionata ad intervenire per ridurre il fenomeno, eliminare le zone di foraggiamento e sopprimere i capi in eccesso e se, nell’Appennino reggiano, siano stati immessi animali ungulati allevati in cattività, in che quantità e per decisione di quale ente o istituto. Filippi, infine ha domandato se la Giunta intenda attivarsi, di concerto con le amministrazioni provinciali, al fine di rivalutare gli indennizzi per i danni causati da ungulati.
L’incremento del numero di questi animali registrato negli ultimi anni – ha detto l’assessore Rabboni – è stato “indubbiamente” favorito dal fenomeno della rinaturalizzazione dei terreni abbandonati dall’agricoltura che ha contribuito a ricrearne un ambiente favorevole. A fronte di questo importante mutamento ambientale, la Regione, in accordo con le Province, ha operato nella definizione per singole specie di “densità compatibili” con le attività antropiche e nell’individuazione di aree precluse alla presenza di ungulati. Il raggiungimento di queste “densità” rappresenta uno degli obiettivi del piani faunistici quinquennali approvati nel 2008. Nella scorsa stagione venatoria, – ha quindi riferito Rabboni – nella Provincia di Reggio Emilia sono stati abbattuti quasi 10 mila caprioli, con un “prelievo”, ove necessario, corrispondente anche al 60% dei capi censiti. Il che – ha chiarito – è stato possibile a seguito dell’accordo tra Regione e Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) che consente di superare la consueta percentuale del 20-25% dei capi abbattibili annualmente, autorizzata dall’istituto stesso. Fermo restando la necessità di raggiungere in tempi brevi le densità stabilite, è opinione della Regione – ha detto Rabboni – che un numero così elevato di capi da abbattere, dovrà rappresentare, come insegna l’esperienza di altri paesi europei, un indotto per il mondo agricolo e per la montagna”. E pertanto – ha assicurato – “sarà nostro impegno stimolare il tal senso gli ambiti territoriali di caccia nei cui consigli direttivi sono ampiamente rappresentate anche le organizzazioni professionali agricole che dall’abbattimento di questi capi ricavano annualmente somme cospicue”.
Quanto agli indennizzi riconosciuti per danni arrecati dalla fauna selvatica, nel 2000 la Regione ha stanziato 2 milioni di euro, confermando la stessa cifra dell’anno precedente che ha consentito di riconoscere l’80% degli importi accertati dai periti delle Province. Mentre è stato invece previsto un consistente aumento nel capitolo desinato all’acquisto di materiale per prevenire i danni che quest’anno ammonta alla somma di 1 milione di euro. Per ciò che concerne la reintroduzione di animali selvatici, Rabboni ha chiarito che l’unica immissione di ungulati nella montagna reggiana risale al biennio 1985-86 quando furono liberati alcuni esemplari di cervo a scopo sperimentale. I punti di foraggiamento risalenti a quell’esperienza non sono più utilizzati. Il cinghiale, invece, è stato liberato a partire dagli anni ‘50 e per oltre un trentennio a fini venatori . Oggi le immissioni di ungulati sono vietate dalla legge.
Non soddisfatto della risposta, Filippi ha replicato che il problema c’è e aumenta. Gli agricoltori – ha detto – hanno un grave danno dal fenomeno e non un vantaggio, cosa che semmai vale per i cacciatori. Per quanto riguarda il fenomeno della rinaturalizzazione, secondo Filippi si tratta piuttosto di un “imbarbarimento”, dal momento che questi luoghi – ha detto – sono diventati solo zone di riproduzione, dove gli animali hanno preso il sopravvento sull’uomo. Chiedo – ha concluso – che si risolva il problema e che l’assessorato all’agricoltura paghi tutti gli indennizzi, e non solo una percentuale di essi.