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I servizi educativi per la prima infanzia in regione


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Flessibilità, utilizzo diverso delle strutture, coordinamento del baby-sitteraggio, potenziamento dei servizi che la legge regionale definisce “sperimentali”, e cioè educatrici familiari ed educatrici domiciliari, che seguono piccoli gruppi di bambini.

I mutamenti sociali, economici e finanziari che si sono verificati – e quelli in atto – impongono, a distanza di dieci anni dalla legge regionale in materia di servizi educativi per la prima infanzia (1/2000), un ripensamento complessivo delle politiche di welfare nel settore, per dare risposte adeguate alle richieste e ai bisogni, sempre più diversi e articolati, delle famiglie.

“Gli enti locali, nonostante la crisi e i tagli, sono riusciti a mantenere alta l’offerta. Come Regione – ha sottolineato l’assessore alle Politiche sociali Teresa Marzocchi presentando oggi i dati – lo sforzo è quello di continuare a sostenere questo sistema integrato, pubblico e privato. E poiché gli indirizzi europei ci sollecitano al raggiungimento della soglia del 33% dei posti a disposizione, vogliamo promuovere una riflessione sulle attuali offerte, soprattutto per quel che riguarda i servizi sperimentali. Flessibilità, diffusione in zone particolari – o molto congestionate come i centri storici, o particolarmente decentrate, come la montagna – rappresentano alcuni parametri sui quali lavorare, rivisitando anche gli orari d’apertura e i criteri d’accesso da parte del personale educatore, con percorsi professionali adeguati al ruolo richiesto. In questo modo – ha concluso l’assessore – vogliamo garantire un’adeguata formazione a quelle nuove figure professionali nascenti, che oggi ne sono sprovviste. Tutto questo in un sistema ‘dialogato’, in cui la figura del coordinatore possa favorire il raccordo tra le varie strutture e il monitoraggio della qualità”.

I dati

Sono complessivamente 1220 tra nidi d’infanzia (958), spazi bambini (88), centri per bambini e genitori (99), educatrici domiciliari e familiari (75), con 37.993 posti per piccoli nella fascia 0-3 anni (dati riferiti all’anno educativo 2009-2010). L’Emilia-Romagna registra un numero di servizi educativi per la prima infanzia tra i più alti a livello nazionale e, grazie anche al mix tra servizi tradizionali, integrativi e sperimentali, ha un’offerta pari al 30,3% (dato nazionale, 17% circa) della popolazione residente d’età interessata. Numeri che, nel corso degli anni, sono aumentati: si è passati da un’offerta pari al 23,9% dell’anno 1995-1996 al 28,1% nel 2006-2007, al 29,5% del 2008-2009 fino al 30,3% dell’anno 2009-2010. Al tempo stesso è cresciuto il numero dei bimbi accolti: dai 16.211 dell’anno 1995-1996 ai 36.213 del 2009-2010. Attualmente il 79% dei Comuni sparsi su tutto il territorio sono dotati di servizi per la prima infanzia: qui vive anche la maggior parte della popolazione 0-3 anni (97,3%).

Il quadro socio-economico di riferimento

Nel corso degli anni le reti familiari e amicali sono progressivamente cambiate e si sono “assottigliate”, quando non risultano addirittura assenti. Spesso le mamme non possono più contare sull’appoggio di nonni o parenti per la gestione, anche temporanea, dei figli. E’ evidente quindi che il ruolo dell’ente pubblico non può limitarsi alla sola erogazione diservizi ma deve assumere sempre più il ruolo di “facilitatore” di rapporti tra i cittadini, e tra i cittadini e leistituzioni, valorizzando anche il ruolo del privato che costituisce da tempo un partner attivo nelle politiche di welfare.Al cambiamento strutturale delle famiglie si somma la drastica riduzione delle risorse finanziarie: un nodo centrale per le amministrazioni, sia regionali che locali. Il continuo calo dei Fondi statali e i vincoli derivanti dal Patto di stabilità e dalle norme che impongono ai Comuni il blocco delle assunzioni rappresentano un ostacolo all’attuazione di tutte le politiche del settore. Se le risorse economiche calano, i bambini invece aumentano. Lo confermano ampiamente i dati Istat: l’Emilia-Romagna – regione che a metà degli anni Novanta aveva i livelli di fecondità più bassi in ambito nazionale – ha visto un aumento del numero dei nuovi nati dal 1995 al 2008 di oltre il 50%, legato anche al fenomeno migratorio. C’è bisogno quindi di mobilitare risorse economiche per far fronte a quest’aumento e alle liste di attesa.

Gli impegni avviati

Si è costituito un gruppo di lavoro composto da dirigenti e funzionari dei nove Comuni capoluogo di provincia e delle tre Province dove c’è una maggiore presenza dei servizi (Bologna, Modena e Reggio Emilia). Tra gli obiettivi c’è l’analisi dei modelli gestionali e organizzativi attualmente in vigore nei servizi 0-3 e l’individuazione di ipotesi per la modifica e l’integrazione alla direttiva 646/05 (che applica la legge regionale) in due ambiti: gli standard strutturali di alcuni servizi, sia tradizionali che sperimentali (per favorirne l’attivazione soprattutto nei Comuni dove ci sono “ostacoli” territoriali: crinali appenninici, zone particolarmente decentrate dai grossi centri urbani) e gli standard organizzativi, per una corretta interpretazione e applicazione. A partire da gennaio 2011 il gruppo è impegnato in un’analisi comparata tra i Comuni sui costi di gestione dei servizi, sul sistema tariffario e sui criteri di accesso ai servizi. Il gruppo di lavoro intende anche individuare modelli organizzativi e gestionali “virtuosi”, che possano essere assunti come leva per il cambiamento e per la diffusione, sia nel pubblico che nel privato. Parallelamente a questo percorso è stato avviato un tavolo di lavoro composto dai referenti tutor dei coordinamenti pedagogici provinciali (Cpp) per predisporre orientamenti e indicazioni comuni per la realizzazione e l’autovalutazione dei progetti pedagogici, in base a indicatori definiti con i servizi pubblici e privati. E’ previsto per giugno 2011 un seminario nazionale a Bologna, dedicato al sistema regionale dei servizi per l’infanzia a dieci anni dalla legge 1/2000: in quell’occasione verranno presentate le ipotesi sulle modifiche più significative alla normativa regionale.