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Sassuolo: mercoledì 16/3 Notte dell’Arte “Tricolore”

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Torna a Sassuolo l’appuntamento con la “Notte dell’Arte”. Mercoledì 16 Marzo cena alle 19.30 al Ristorante “Salumeria Piazza Piccola” (Prezzo fisso 25,00 euro a persona). Dalle 21.30 la visita guidata e gratuita alla Sala Giunta della Residenza Municipale: uno dei luoghi più celebrativi dell’Unità nazionale presenti nel territorio per una speciale Notte dell’Arte “Tricolore”, a cura di Luca Silingardi, storico dell’arte con scenografica installazione tricolore e illustrazione di cimeli storici. (Prenotazione obbligatoria presso l’Ufficio Relazioni con il Pubblico: 0536 1844801).

La decorazione della ex Sala del Consiglio Comunale (ora Sala Giunta), terminata nel 1903, fu affidata al pittore modenese Umberto Ruini (1869-1955), che si era formato presso l’Istituto d’Arte di Modena, avendo avuto tra i suoi docenti Antonio Simonazzi, già allievo di Adeodato Malatesta, per la pittura e Andrea Becchi, rinomato esponente della scuola carpigiana di decorazione, per l’ornato. Nel 1892 aveva vinto il secondo premio al Concorso Poletti, istituito dall’illustre architetto pontificio Luigi Poletti, nativo di Modena, al fine di promuovere soggiorni di studio a Roma per giovani e promettenti artisti. La fama di Ruini sarà legata in qualche modo al Poletti, poiché, l’anno dopo l’esecuzione del soffitto del Palazzo Comunale sassolese, l’artista ultimerà l’opera che lo renderà celebre in Modena: la decorazione pittorica dell’atrio esterno della Biblioteca Civica Poletti, nel quadriportico del Palazzo dei Musei, in origine sede della Galleria Poletti, che esponeva i saggi dei vincitori dell’omonimo concorso, inaugurata il 4 dicembre del 1904. Fu Andrea Becchi, allora Assessore ai Musei, a volere la costituzione della Galleria e, con tutta probabilità, a suggerire il nome di Ruini per questa ambiziosa impresa decorativa. La concettuosa iconografia, in linea con la retorica d’epoca umbertina di celebrazione delle “glorie locali”, si articola attorno al tema di Modena e Roma unite dal genio di Luigi Poletti, fra allegorie delle varie arti e scienze presso busti di illustri modenesi, dal plastico Begarelli all’erudito Cavedoni, dall’architetto Guarini all’orologiaio Gavioli, mentre nelle grandi specchiature delle pareti laterali sono rappresentati episodi salienti della biografia dello stesso Poletti (nel Museo Civico d’Arte di Modena si conserva il bozzetto di una di tali scene).

È un linguaggio ancora accademico, quello in cui s’esprime Umberto Ruini, che ben s’adegua al carattere illustrativo e ufficiale di queste pitture; e tuttavia vi si coglie, dal profilo della composizione, un tentativo d’aggiornamento sul simbolismo idealista del romano Giulio Aristide Sartorio, figura di riferimento per la corrente classicistica italiana, giungendo per suo tramite alle accentuazioni liberty della coeva cultura tedesca e alle raffinatezze decorative dello Jugendstil, elaborando infine un fraseggio elegantemente “floreale”. Ruini coltivò anche la pittura da cavalletto, con opere in collezioni emiliane che attestano una vena più libera e spontanea, ora divisionista, per tasselli di colore, ora vagamente déco, come nella smagliante Marina in raccolta privata. L’autore, assiduo partecipante alle esposizioni della Società d’Incoraggiamento per gli artisti modenesi fra Ottocento e Novecento, alternò la pittura all’insegnamento, e negli anni Venti, a causa di vicissitudini familiari, lasciò la città natale.

Tornando all’episodio sassolese, la piana superficie del soffitto è dipinta con un’illusionistica prospettiva architettonica, che si spalanca su un cielo nel quale si staglia una figura allegorica femminile. Raccogliendo le suggestioni della quadraturistica emiliana, che possiede alcuni dei suoi saggi più alti nel vicino Palazzo Ducale, una balaustrata mistilinea, dai torniti pilastrini in gradevoli toni rosati, si apre sullo “sfondato” di cielo, delimitando una fittizia e parziale copertura modanata che finge un cassettonato dalle linee vagamente neobarocche; i vari lacunari, a riquadri e a lunette, sono campiti da racemi d’acanto, d’ispirazione neorinascimentale, con cartigli e medaglioni dagli ornati neorococò. È dunque una commistione di stili storici, all’insegna del revival, che rientra nel gusto eclettico diffuso tra Ottocento e Novecento. Le parti figurate svolgono un programma che esprime sia orgoglio municipalistico che volontà di integrazione nello Stato unitario. Sui lati brevi del soffitto, entro cartigli sormontati da un’aquila e affiancati da coppie di putti, si fronteggiano lo stemma sabaudo, con la croce bianca in campo rosso, e lo stemma di Sassuolo, coi due narcisi spuntati fra tre monti emergenti dall’acqua del fiume Secchia su campo rosso, dunque secondo la versione araldica che Natale Cionini (1844-1920), erudito e scrittore di storia sassolese, all’epoca Segretario generale del Comune, aveva riproposto nella sua pubblicazione Sassuolo e il suo stemma, del 1876.

Nei quattro medaglioni delle zone angolari, circondati da corone d’alloro, il discorso figurativo assume i toni della celebrazione politica e civile presentando i ritratti dei “padri della patria”, che incarnano le varie anime del Risorgimento, derivati dalla più diffusa iconografia ufficiale: sono effigi a mezzo busto di Giuseppe Mazzini, Camillo Benso conte di Cavour, Re Vittorio Emanuele II di Savoia, con l’uniforme ricoperta di medaglie e onorificenze, e Giuseppe Garibaldi, nell’abbigliamento che gli era solito dopo il 1870, con uno dei suoi tipici copricapi ricamati.

Ma dove la prosa celebrativa tocca l’acme è nella raffigurazione che si accampa sullo sfondo del cielo percorso da nubi luminose, definita nei documenti dell’epoca come allegoria della Terra di Sassuolo. Una giovane donna quasi adolescente, dal capo coronato da un variopinto serto fiorito come la dea Flora, i fianchi e le gambe ricoperte da un manto giallo oro – il colore dell’incorruttibilità ma anche della nobiltà – mentre un bianco velo, elemento di grazia, fluttua sul braccio sinistro e alle sue spalle, è seduta con accanto un puttino che mostra un cartiglio recante il motto dello stemma di Sassuolo: “sic ex murice gemmae”, ovvero “dalla roccia sono sorte le gemme”. Il riferimento alla municipalità sassolese è ribadito dai due narcisi – i fiori dello stemma stesso – che la giovane esibisce nella mano destra, mentre con la sinistra porge un ramo sostenuto anche dal putto; a ben vedere, il ramo appare ricoperto di gemme, come prossimo a una nuova fioritura. L’allegoria sembra così alludere a una rinnovata primavera della Terra di Sassuolo nel nuovo clima dello Stato italiano. Dietro alla creazione ex novo di questa iconografia vi è probabilmente, ancora, la cultura umanistica del Segretario Natale Cionini, forse ispirato al complesso repertorio allegorico delle volte del Palazzo Ducale.

In quest’immagine celebrativa e di buon auspicio, Umberto Ruini si esprime in uno stile nella tradizione pittorica di Andrea Becchi e degli altri carpigiani Albano Lugli e Fermo Forti, protagonisti della decorazione degli interni di palazzi, ville e chiese in ambito modenese, anticipando certe levità liberty che saranno sviluppate di lì a poco da Evaristo Cappelli, ad esempio nel salone della villa Cionini Carbonieri di Magreta; nel frattempo, Ruini prende possesso di quell’eloquenza formale d’ampio respiro che dispiegherà, in un registro ancor più maturo e più largamente aggiornato, nelle successive pitture dell’atrio della Biblioteca Poletti.