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Flc/Cgil sulla situazione del precariato nella nostra regione


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Nel corso della conferenza stampa organizzata dal coordinamento regionale dei precari della conoscenza della FLC CGIL, è stato consegnato un documento di analisi e rivendicazioni, sulla situazione del precariato nella nostra regione.

Il Coordinamento Precari FLCCGIL Emilia Romagna, attraverso questa piattaforma, vuole restituire al lavoro precario della conoscenza (Scuola, Università, Ricerca, Afam, Formazione Professionale) ciò che gli viene impropriamente sottratto e che crea diseconomia, infelicità delle persone, impossibilità di programmare il proprio futuro, peggioramento del percorso formativo degli studenti.

SCUOLA

Denunciamo lo sfascio della qualità della scuola pubblica nella nostra regione a causa dell’ultima tranche dei tagli della 133/08.

I tagli sono insostenibili sia per l’emergenza occupazionale che ne deriverà, sia per la qualità del sistema. Rispetto allo scorso anno, l’Emilia Romagna perderà 881 docenti in organico di diritto, per cui il contingente passa da 38.735 a 37.854 posti, e si profila un taglio di 606 A.T.A. Questo dato va esaminato alla luce dell’importante aumento di iscrizioni: 7235 studenti in più ai quali vanno aggiunti gli alunni della scuola dell’infanzia, che vede in ogni territorio esplosive liste d’attesa. Seppure il taglio percentuale sia uno dei più bassi d’Italia, l’Emilia Romagna ha le classi più numerose d’Italia (circa 1 punto percentuale in più rispetto alla media nazionale) e, dunque, vengono ampiamente disattese le norme dello Stato in merito alla formazione delle classi e alla sicurezza degli studenti. Se le nostre classi fossero in linea con i parametri nazionali avremmo diritto a circa 1.000 classi in più su tutti gli ordini di scuola.

La scuola dell’Emilia-Romagna vede inoltre la percentuale più alta di precari sul totale degli addetti: persone che da anni sono costrette a cambiare scuola continuamente e che, a causa dei tagli e dell’instabilità delle graduatorie, vivono nella continua angoscia di perdere il lavoro senza alcuna forma di protezione sociale.

Fermare i tagli e assumere in ruolo i precari significa dunque, specie in questa regione, ripristinare le condizioni per un lavoro di qualità nella scuola pubblica.

CHIEDIAMO

a livello nazionale:

 la sospensione della terza tranche di tagli e un piano straordinario per la stabilizzazione di centomila lavoratori precari della scuola su tutti i posti vacanti e disponibili;

 il superamento della distinzione tra organico di fatto e organico di diritto e l’attribuzione alle scuole di una dotazione triennale di organico funzionale per garantire la continuità didattica e la qualità dell’offerta formativa;

 la generalizzazione della scuola dell’infanzia pubblica, un diritto oggi sempre più vastamente disatteso.

all’Ufficio Scolastico Regionale:

 il rispetto rigoroso delle norme dello Stato in merito alla formazione delle classi, al sostegno all’handicap e alla sicurezza;

 l’impegno a chiedere una dotazione di organico aggiuntivo per rispondere alla richiesta di tempo scuola delle famiglie a partire dalla generalizzazione della scuola dell’infanzia fino alle superiori;

 la ricomposizione a posti cattedra (dunque con incarichi al 31 agosto) delle migliaia di spezzoni orari attuali per evitare che “spariscano” posti per i precari e che si crei ulteriore discontinuità didattica, operazione che farebbe oltretutto risparmiare allo Stato circa il 2,5%.

alla Regione:

 l’impegno a sostenere la richiesta di una dotazione organica aggiuntiva presso il Ministero;

 un’attenta verifica circa la destinazione delle risorse regionali che, per l’infanzia, oggi non vanno prioritariamente alla scuola statale e comunale;

 un tavolo di confronto sul tema del precariato nei settori della conoscenza.

UNIVERSITÀ

Durante questa legislatura il sistema universitario italiano è stato oggetto di un attacco senza precedenti. L’effetto combinato della legge 240/10 (“Legge Gelmini”), dei tagli alle risorse, del blocco del turn over e del DM 17/10 – il cosiddetto “taglia corsi”- ci restituisce, in prospettiva, un’Università pubblica drasticamente ridotta -2/3 circa rispetto a quella attuale- sia per numero di docenti, ricercatori e studenti, sia per quanto riguarda l’offerta formativa e la ricerca. Tra i primi e i principali effetti di queste politiche, vi sarà l’espulsione di gran parte dei 55.000 precari della docenza e della ricerca, e di 10.000 precari del personale TA.

In particolare, per quanto riguarda specificatamente i precari della ricerca e della docenza, la “legge Gelmini” ha tra i suoi principali esiti:

 “rottamazione del precariato storico” in quanto non prevede percorsi di stabilizzazione per tutti quei ricercatori e docenti che da anni (oltre 10) e in maniera continuativa lavorano negli Atenei;

 “precarietà indeterminata” per i giovani che si avviano alla carriera accademica, poiché non definisce d’ora in avanti percorsi certi (tenure track) per i meritevoli che, anzi, potranno dover sostenere fino a 12 anni di precariato senza alcuna garanzia per il loro futuro.

Anche in una Regione a sviluppo avanzato come l’Emilia Romagna e nell’Ateneo più “virtuoso” del Paese come quello di Bologna, i precari della ricerca e della docenza sono più della metà del personale strutturato.

Infatti, nel 2010 a fronte di 2.930 tra professori ordinari (796), associati (878) e ricercatori a tempo indeterminato (1.256), ci sono -dati Alma Mater- 2.000 professori a contratto (a titolo oneroso o gratuito) e <<oltre 2.200 collaboratori impegnati a diverso titolo in attività di ricerca>>. Più precisamente, dai nostri dati risultano più di 1.000 assegnisti di ricerca, 270 tutor didattici, 86 tra lettori e collaboratori ed esperti linguistici, almeno 20 borsisti di ricerca e 785 collaborazioni con qualifica non meglio definita. A questi vanno aggiunti i 1.500 ca. iscritti ai 51 dottorati di ricerca, molti dei quali svolgono attività didattica, ricevimento studenti, esami, ecc…

A fronte di tutto ciò chiediamo:

1. Rifinanziamento complessivo di Università e ricerca pubbliche.

2. Partecipazione e rappresentanza.

A seguito dell’approvazione della “legge Gelmini”, tutti gli Atenei hanno il mandato di adeguare i propri statuti alla nuova normativa. A nostro avviso, le norme che tutelano la democrazia, la rappresentanza e la partecipazione già contenute negli statuti preesistenti vanno difese, preservate e migliorate, e per quanto riguarda i precari della didattica e della ricerca deve essere finalmente riconosciuto il loro diritto ad essere rappresentati negli organismi di Ateneo a tutti i livelli. Infine, va riconosciuto anche al personale non strutturato il diritto di riunione, di assemblea e di elezione dei propri rappresentanti sindacali.

3. Rilancio del reclutamento.

L’Italia occupa il terzultimo posto nella classifica OCSE sui lavoratori addetti alla ricerca rispetto al totale della popolazione attiva, precedendo solo il Messico e la Turchia. Occorre avviare una seria politica di investimenti incentivando l’assunzione di lavoratori addetti alla ricerca sia nel settore privato sia in quello pubblico. Per questa ragione, nonostante i tagli alle risorse e il blocco del turn-over imposti dai provvedimenti legislativi più recenti, chiediamo che vengano garantiti:

 un numero annuo congruo di chiamate per docenti di seconda fascia e di bandi per ricercatore a tempo determinato;

 una vera tenure track per coloro che accedono al contratto da ricercatore a tempo determinato, attraverso un’adeguata programmazione delle risorse;

4. A parità di lavoro parità di compenso e diritti

I lavoratori precari con qualsivoglia tipo di contratto devono aver riconosciuti gli stessi diritti dei lavoratori strutturati dell’Ateneo: insomma, a parità di lavoro deve corrispondere parità di compenso e di diritti!

In quest’ottica chiediamo che negli statuti venga ribadito questo principio e che nei Regolamenti di Ateneo vengano esplicitamente introdotti degli standard minimi che sanciscano diritti e tutele di cui ciascun lavoratore, precario e non, deve necessariamente usufruire e si preveda la definizione di una retribuzione minima al di sotto della quale nessun rapporto di lavoro possa in alcun modo scendere.

Per quanto riguarda i livelli minimi di retribuzione di assegni e contratti di docenza (che dovranno essere innanzitutto stabiliti mediante decreto ministeriale), riteniamo che l’importo minimo degli assegni di ricerca, non debba essere inferiore a 25000 euro annui, e che l’importo minimo delle docenze a contratto non debba essere inferiore a 150 euro lordi per ora di lezione, anche tenendo presente che, fra preparazioni, esami e ricevimenti, ogni ora di lezione corrisponde a più ore di lavoro effettivo.

Infine, deve essere vietato qualsiasi ricorso a prestazioni di lavoro gratuite.

5. Welfare e tutele sociali.

Ai lavoratori precari, nelle Università come nel resto del mondo del lavoro in Italia, non è riconosciuta alcuna forma di protezione sociale, se escludiamo la disoccupazione per i lavoratori con contratto da dipendente a tempo determinato.

Chiediamo quindi che:

 venga introdotta – almeno a livello regionale – una forma di reddito minimo garantito, non certo in chiave risarcitoria di diritti negati nel lavoro, ma in chiave complementare, e con l’obbiettivo prioritario di rendere i lavoratori meno ricattabili nel mercato del lavoro, da un lato, e di non disperdere il patrimonio di saperi e competenze, oggi non impiegato o sottoimpiegato, dall’altro.

RICERCA

La situazione economica degli enti di ricerca sta diventando drammatica (tagli del fondo di finanziamento ordinario ulteriore 13%) di fatto, dopo numerosi anni in cui il processo di reclutamento e’ stato portato avanti con una totale assenza di programmazione a medio e lungo termine e quasi solamente con provvedimenti estemporanei (stabilizzazioni finanziaria 2007), ci troviamo oggi di fronte ad un sostanziale blocco delle assunzioni nei prossimi 5 anni.

Infatti da quest’anno si potranno bandire concorsi solo in base ad una frazione di personale che andrà in pensione (20% del turn-over fino al 2013, 50% nel 2014, 100% nel 2015).

Dopo anni in cui gli addetti a tempo indeterminato si sono ridotti sensibilmente (15%) si prefigura una ulteriore diminuzione del numero di ricercatori nel prossimo quinquennio.

Nel frattempo e’ esploso il ricorso ai rapporti di lavoro precario (borse di studio, assegni di ricerca, co.co.co. e solo raramente a tempo determinato) che ha portato negli enti di ricerca un rapporto tra strutturati e precari a livelli intollerabili (40% di lavoratori precari).

Per questo chiediamo:

 Piano assunzioni straordinario: è necessario attuare un piano di assunzioni straordinario, programmato su base almeno triennale e con regolare cadenza per decongestionare l’attuale situazione del precariato , per guidare la ricerca in Italia fuori dalla attuale situazione

 Turn-Over: deroga immediata per gli EPR dei vincoli assunzionali basati sul turn-over 2011-2015

 Dotazione Organica: eliminazione del concetto di Dotazione Organica per gli Enti Pubblici di Ricerca e la sostituzione col più sensato ed elastico concetto di limite sui finanziamenti, considerando che la risorsa principale degli EPR e della ricerca in generale sono le persone. Questo consentirebbe agli EPR di pianificare meglio le attività istituzionali e legate ai progetti e le collaborazioni con gli altri organismi internazionali di ricerca.

 Riconduzione di tutte le forme contrattuali precarie alla sola forma del contratto a Tempo Determinato

 L’ applicazione immediata su scala diffusa dei contratti Tenure-Track (art 5 del CCNL)

Per accompagnare la piattaforma di tutti i settori del precariato della conoscenza, queste sono le nostre iniziative

sabato 9 aprile: Giornata di Mobilitazione Nazionale promossa dal Comitato ‘Il nostro tempo è adesso, la vita non aspetta’. Manifestazioni nelle principali piazze delle province.

giovedì 14 aprile: iniziativa “Rivogliamo il futuro nelle nostre mani” con occupazione simbolica di tutti gli Usp della Regione. Richiesta di incontro con i Dirigenti degli Uffici Scolastici Provinciali affinché si facciano responsabilmente carico di rappresentare e di rispondere adeguatamente alle esigenze del territorio.

venerdì 6 maggio: sciopero generale. Una grande mobilitazione nazionale per protestare contro l’irresponsabilità di questo Governo, dare una scossa al Paese e riportare l’attenzione sull’emergenza lavoro.

Con queste iniziative il Coordinamento si propone di reagire all’aggressione per uscire collettivamente da una condizione di discriminazione che sembra ormai diventata la normalità. In ogni provincia i precari si mobiliteranno per parlare in prima persona e costringere la politica e la società a confrontarsi con la precarietà di lavoro e di vita che rende le nostre esistenze insostenibili.