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Sassuolo: “Chi guarda troppo la luna si ammala”, mostra di Andrea Saltini e Federica Poletti

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Dal 26 Gennaio al 24 Febbraio presso PaggeriArte in piazzale Della Rosa a Sassuolo mostra di Andrea Saltini e Federica Poletti “Chi guarda troppo la luna si ammala”. Opening con la presenza degli artisti sabato 26 Gennaio alle ore 18,30.

Orari di apertura: sabato 16.00-19.00 e domenica 10.00-13.00 /16.00-19.00. Per appuntamento: 392 4811485

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L’opera a quattro mani di Poletti e della Saltini ci propone  un’immagine complessa e affascinante. Negli sguardi dei personaggi traspare la loro intima difficoltà, quella di dover ripartire da se’ stessi.

In una realtà in cui si è divorati dal perpetuo incedere di   immagini/icone che svalutano la persona, la sua essenza, i suoi desideri più profondi, per porre tutti sotte le stesse luci abbaglianti di un varietà di cui non capiamo il fine; l’ unica cosa da fare, per scampare all’oblio, di noi stessi in primis, è rimettersi al centro del nostro universo, riconsiderandoci  come “Alfa e Omega” inizio e fine di ogni cosa.. Io sono l’Alfa e l’Omega…

Come fluttuanti in un limbo dal quale cercano di riscattarsi, i protagonisti delle opere dei due artisti inscenano due mondi che si contaminano associandosi.

I volti “grevi”, profondamente umani, di Saltini, dotati di tanto di corna o altri elementi che tendono a farne figure mitologiche, vengono “santificati” dalle auree aureole della Poletti.

Lo sguardo indagatore della protagonista del lavoro a quattro mani “Zeus”, sorta di “cervo-madonna”, ricorda il mistero della sfinge; rappresenta l’enigma di una domanda  alla quale non c’è risposta. Anche lo stesso titolo “Zeus”ci riporta alla mente un personaggio che fu il Dio degli Dei , sintesi suprema di potere, divinità celeste da cui dipendevano tutti gli eventi atmosferici, dai tuoni, ai fulmini con cui egli manifestava il suo diniego o la sua approvazione. Ma più che di approvazione si può parlare qui di provocazione…Il potere del titolo, l’umanità del personaggio, la morte simboleggiata dal cranio sullo sfondo e legata anche all’iconografia cristiana della rosa/calice che raccolse il sangue di Cristo, simbolo delle sue piaghe; rose che rappresentano inoltre anche l’amore più terreno ma insieme anche mistico…dall’immanente  al trascendente il passo è  breve…Da ciò che ha in sé ogni possibile causa e ogni effetto, e nessuna possibilità al di fuori, si passa a ciò che va oltre i confini definiti, designando quindi  una  condizione di esistenza situata oltre certi limiti sensoriali o conoscitivi.

I pittori antichi dipingevano secondo “un’ideale di santità”, quello che fa la Poletti è proporci un nuovo, suo ideale, che travalica i confini di ciò che è comunemente inteso come sacro per contaminarsi con la mitologia, la natura, le scienze antropologiche… perché è proprio all’antropos , cioè dall’uomo,che l‘artista vuole partire. La sua è una visione contemporanea, la Poletti guarda alla lezione degli antichi, ai libri di anatomia, alla figurazione dei contemporanei, alla filmografia, e si nutre di tutti questo risucchiando però solo ciò che attrae i suoi sensi per poi “vomitarcelo addosso”, riempiendo la tela. La forza di questa figurazione sta nella violenza e nella dolcezza che si contaminano in queste opere “caoticamente in equilibrio” secondo il concetto, espresso all’Adorno, per cui “il compito dell’arte è mettere caos nell’ordine”.  Quella a cui auspica la Poletti è una vocazione alla bellezza non misurabile, rara perché fuori dal comune ed eterna perché caratteristica di una società e degli uomini che la compongono.

Si passa quindi dall’umanità “schietta”, pregna di pregi e difetti di Saltini, ad una connotazione mistica e spirituale della stessa umanità per celebrare, alla fine, solo ciò che conta, le persone vere.

Proprio sul silenzio come eloquenza del corpo e sulla pittura come veicolo nelle relazioni interpersonali s’incentra il ciclo pittorico di Saltini dedicato ai personaggi del grand guignol.

Sorta di macabra catalogazione di “fenomeni da baraccone”  che come tali si propongono ai nostri occhi.

Istantanee di un’umanità a tratti sconcertante che propone uno sguardo su un mondo altro rispetto a ciò che è visto come normalità. In questi occhi e anche nei “non sguardi” o nei gesti rappresentati c’è una sorta di rassegnazione alla sofferenza, ma anche un forte attaccamento alla vita perché, come dice Saville “la morte è la sola certezza della vita e voglio guardare alla vita con occhi completamente aperti”.

Queste persone rappresentano l’agonia, la gioia, la sofferenza, la miseria, ma anche il desiderio di essere vivi mostrandoci un tipo di follia così distante ed insieme così vicina alla normalità.

E se è vero che “chi guarda troppo la luna si ammala” è anche vero che la luna il potere di attrarci come una calamita o, meglio, come scrive Saltini “Come una calamita la luna ha deformato il mio contorno, e mi rimane solo l’ultima sigaretta”.

Chiara Messori