Spettacolo prodotto da Nuova Scena per l’interpretazione di Ivano Marescotti e la regia di Valerio Binasco, “La Fondazione” è l’ultimo testo del poeta drammaturgo di Santarcangelo scomparso sette anni fa. Baldini lo consegnò a Marescotti poco prima di andarsene, sigillando così un lungo sodalizio artistico tra due romagnoli complici, speculari e complementari. Lo scrittore dialettale lunatico, fulminante, bozzettista del profondo. L’attore umorale grintoso e operaio, con risvolti di grande umanità che molti anni fa cominciò a dire le poesie dell’altro.
Un uomo solo su un divano verde. Un uomo solo, in una scena vuota. Su un divano verde squillante.
La sua giacchetta è troppo stretta; i suoi calzoni troppo corti, clowneschi. ParIa, parla per riempire un vuoto che ci fa immaginare pieno di oggetti, stipato all’inverosimile di residui di un’intera vita, tanto da muoversi con passi larghi, sghembi, schivando immaginari ostacoli, inventando sentieri labirintici mentre dice, ricorda, borbotta, biascica, si smarrisce in pause, con sguardi verso altri mondi.
La lingua si inceppa, si incarta, con effetti comici. E’ un dialetto mescolato con l’italiano che guarda all’Europa e torna al focolare, con un incrinato sapore genuino e stantio. Baldini, redattore di Panorama a Milano per una vita, è stato uno dei nostri maggiori poeti dialettali. Alla lingua di Santarcangelo di Romagna ha affidato il compito di narrare un’Italia precipitata nella contemporaneità dalle piazze di paesi ancora intrisi di cultura contadina sempre più sradicata. Il protagonista è sospeso in uno svanire che non sa dove può portare. Gli passano per la lingua, come discorsi sentiti al bar, idee su dormire, finire, trasformarsi, ritornare in altre cose, in un gioco a rimpiattino con l’ossessione della morte. Si affollano nella sua mente-bocca pensieri disparati come gli oggetti accumulati per riempire una vita di abbandoni, che neppure nella memoria consisterebbe senza quei fantasmi di cose a cui vorrebbe assicurare sopravvivenza grazie a una grottesca Fondazione. Dietro la risata c’è la solitudine dell’Ultimo nastro di Krapp, il senso dell’esistenza come impresa inutile, come contorcimento, di molte opere di Bernhard. Con una nota sempre originale, una rancorosa fragilità affidata in testamento dall’autore all’interprete elettivo Marescotti: un caratterista molte volte pronto a sprecarsi, dalle antenne sensibilissime, sperduto come un vecchio zio di paese. Perfetta incarnazione dell’uomo «penultimo», umoristico, mutante, disperato del poeta.
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