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Percorso di accompagnamento per fronteggiare il disagio individuale e organizzativo causato dal terremoto


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Molto si è parlato e si parla delle ferite che il terremoto del maggio 2012 ha causato alle strutture (abitazioni, fabbriche, ospedali, uffici, aziende) dell’Emilia-Romagna, molto meno delle ferite interiori delle persone. L’attenzione, superata la fase acuta dell’emergenza, è andata via via affievolendosi eppure le conseguenze negative sugli individui e le organizzazioni di cui sono parte, spesso, si manifestano nel medio-lungo periodo e richiedono un’attenta azione di governo e ascolto, affinché la gestione degli “effetti collaterali” sia effettuata in modo organico. Tutti gli studi scientifici dimostrano infatti che dopo un evento traumatico, come quello causato dal terremoto, la maggior parte degli individui passa attraverso una fase “eroica” che porta a quella della speranza, quindi a una fase di disillusione, sino ad arrivare alla vera e propria ricostruzione volta e ripristinare la situazione esistente prima che si verificasse l’evento catastrofico.

Il progetto di “Supporto organizzativo post-sisma rivolto agli operatori degli ospedali e dei distretti sanitari di Carpi e Mirandola” – messo a punto dall’Azienda Usl di Modena con la supervisione scientifica della Facoltà di Psicologia dell’Università di Bologna, che ha donato il proprio sapere, mettendo a disposizione le competenze dei docenti a titolo gratuito – è stato avviato a partire da luglio 2012 con l’obiettivo di affiancare passo dopo passo il personale socio-sanitario nel progressivo reinserimento all’interno delle strutture sanitarie d’origine, con un’attenzione specifica per la dimensione individuale e le dinamiche di gruppo all’interno delle quali i lavoratori sono chiamati a operare. “Siamo partiti da questa consapevolezza e abbiamo voluto mettere in atto, sin dal primo momento, su indicazione della direzione generale, azioni utili per la gestione condivisa delle reazioni dei singoli e valutarne l’impatto sulle organizzazioni. Non tanto per fare una fotografia dell’accaduto, quanto per affiancare e sostenere le persone – spiega Maria Cristina Florini, dell’Area Sviluppo Organizzativo Azienda Usl di Modena – e per creare un ‘modello di intervento’ che potesse essere replicabile nel momento in cui, malauguratamente, ve ne fosse la necessità”.

“Superare l’emergenza, nei primi mesi dopo il sisma – sottolinea il direttore generale dell’Azienda Usl di Modena, Mariella Martini – è stato possibile, pur tra mille difficoltà, solo grazie all’impegno, la competenza e la dedizione di tutti gli operatori sanitari. Ancora una volto colgo quindi l’occasione per ringraziarli pubblicamente. È doveroso ricordare, tuttavia, che la loro professionalità non li ha resi ‘immuni’ dai traumi del terremoto. Le loro vite sono state sconvolte come quelle di qualsiasi altro cittadino. Per questo motivo è importante, come azienda, per la parte che ci compete, dar loro supporto e aiuto affinché possano ritrovare quella serenità e sicurezza di cui tutti abbiamo bisogno per continuare a svolgere al meglio il nostro lavoro”.

“Quando ci è stato chiesto se potevamo fare qualcosa per favorire il ritorno alla normalità organizzativa nelle strutture colpite dal sisma, siamo stati lieti di poter dare il nostro contributo scientifico e professionale. Esistono circostanze in cui la solidarietà deve tradursi in comportamenti concreti” sottolinea il direttore del Dipartimento di Psicologia dell’ateneo bolognese, professor Bruno Baldaro.

Proprio in questi giorni, il progetto conclude la sua prima fase, orientata prevalentemente sulle persone e i contesti di lavoro, e da avvio ad una seconda parte che riguarda l’analisi dei soggetti organizzativi interessati dal terremoto.

Il Contesto, in cui si è sviluppato il progetto

Il territorio colpito dal sisma del 20 e 29 maggio 2012 comprende un’area di 967 chilometri quadrati, pari al 36% dell’intero territorio della provincia di Modena, al cui interno vivono oltre 227 mila persone. L’area, dal punto di vista socio-sanitario è divisa in tre distretti: Carpi, Mirandola e Castelfranco Emilia. Nel periodo immediatamente successivo agli eventi, l’Azienda USL ha offerto ad abitanti e operatori un servizio di supporto per la cura del disturbo da stress post-traumatico. A partire dal mese di agosto 2012 è stato avviato il processo di reintegrazione degli operatori nelle rispettive strutture di provenienza.

I risultati in sintesi

Per sintetizzare in una parola l’eccezionale capacità di risposta che il sistema sanitario ha saputo dare dopo il terremoto, potrebbe essere usato il termine “resilienza”. Un concetto, spiegano i docenti universitari che hanno lavorato al progetto dell’Azienda Usl di Modena, che indica la capacità di far fronte, in modo positivo, agli eventi traumatici e riorganizzare la propria vita davanti alle difficoltà. Dalla ricerca, condotta attraverso oltre 140 questionari individuali e 50 incontri di gruppo, emerge infatti che, se il sisma ha avuto un forte impatto su l’80% degli operatori socio-sanitari dell’area nord, dopo l’evento catastrofico oltre a paura e insicurezza è stato avvertito anche un maggior “coinvolgimento affettivo” nell’organizzazione del lavoro e un sensibile miglioramento delle relazioni con i propri colleghi. L’indagine ha inoltre messo in luce che la prima preoccupazione del personale ospedaliero, immediatamente dopo il sisma, è stata quella di mettere in sicurezza i pazienti ricoverati, evidenziando la forte identificazione degli operatori con il loro ruolo professionale.

Il supporto del gruppo di lavoro si è rivelato il fattore più importante e determinante per il superamento positivo del trauma. La maggioranza degli intervistati ha ammesso di aver dovuto “riorganizzare e adattare il proprio lavoro” e che questo cambiamento ha creato “l’occasione per riflettere sul proprio operato” e “per trovare nuove soluzioni organizzative”. Conoscere altri contesti lavorativi ha rafforzato i legami esistenti prima del sisma e ha portato gli operatori a definire una nuova scala di valori e di priorità anche a livello lavorativo. Tra coloro che hanno risposto ai questionari il 2,3% ricopre posizioni di natura amministrativa, il 9,4% è medico mentre la maggioranza (88,4%) ha ruoli di carattere tecnico, infermieristico e assistenziale. L’età media di chi ha risposto alla ricerca è di 46 anni, il 66% del campione è sposato e il 91% è rappresentato da donne. Oltre l’85% degli operatori ha dichiarato di risiedere in un comune terremotato e il 70% di loro era a lavoro durante le scosse del 20 e del 29 maggio scorso. Sul territorio di Carpi e Mirandola, dopo il sisma, il 14% del campione di operatori intervistato ha continuato a vivere nella propria abitazione mentre il 7,9% si è trasferito in tenda, il 2,1% all’interno di una tendopoli, il 9% presso amici e familiari, l’1,4% in un’altra abitazione. Il 41%, invece, ha dichiarato di aver vissuto in automobile per alcuni giorni.

La testimonianza di un operatore sanitario, protagonista del progetto

“Il 29 maggio ero a casa – racconta Anna, nome di fantasia di un’infermiera del Ramazzini che ha partecipato al progetto di Supporto organizzativo post-sisma per gli operatori sanitari – e ho sentito la scossa in modo violento. Dovevo andare a lavoro, in ospedale, ma appena ho compreso quanto stava succedendo mi sono lanciata sulle scale e sono corsa a prendere i miei figli che erano a scuola. In quei momenti pensi subito al peggio e arrivi con il cuore in gola. Fortunatamente i miei figli stavano bene, a parte la paura. A quel punto, senza neppure pensarci, sono andata in automobile davanti all’ospedale, dove lavoro da anni. Ero in pensiero per tutti i miei pazienti, per le persone che già dalla prima scossa del 20 maggio erano accampate dentro tende e ricoveri di fortuna. In quei momenti terribili si sentono emozioni difficili da raccontare – spiega con un filo di voce Anna – e oggi, che coi colleghi del reparto siamo rientrati in ospedale, non è facile superare ansie e insicurezze. Il lavoro di squadra e il confronto di gruppo è certamente uno dei modi migliori per tirare fuori i propri stati d’animo. Solo insieme, infatti, è davvero possibile ricostruire. Se ci si isola, invece, si rischia di andare a fondo”.