Gli articoli e le prese di posizione che in questi giorni stanno caratterizzando il dibattito politico ed economico, relativi alla decisione del Comune di Bologna e di altri enti locali in regione di ridurre la partecipazione pubblica detenuta nel capitale dell’impresa di servizi pubblici locali, mi hanno indotto ad alcune riflessioni.
Il Gruppo Hera è un asset strategico per l’Emilia Romagna, con ben 4,19 miliardi di euro di ricavi nel 2014 e un margine operativo di 867,8 milioni di euro, oltre 8.000 dipendenti diretti (non contando tutti coloro che lavorano per gli appalti o subappalti). Ciò che colpisce è che, benché si tratti di una delle aziende di servizi pubblici locali più efficaci ed efficienti e con maggiori potenzialità di espansione nel nostro Paese, si ha la netta impressione che la politica non ne abbia consapevolezza e, soprattutto, non voglia o non possa svolgere il ruolo al quale è chiamata dalle leggi e, soprattutto, dai bisogni delle famiglie e delle imprese. È infatti noto che tra gli aspetti fondamentali dell’attrattività dei territori vi sono proprio i servizi gestiti da aziende come Hera: non c’è sviluppo economico, ma anche sociale e civile, senza servizi funzionanti di raccolta dei rifiuti, di distribuzione dell’acqua, di gestione dell’energia.
È evidente che Hera, che pure ad alcuni pare troppo grande, è da considerarsi piccola se confrontata con le principali aziende operative a livello europeo nei medesimi mercati; ad esempio RWE, la holding di tutte le municipalizzate tedesche, cuba quasi 25 miliardi di ricavi, Veolia, leader del mercato francese, quasi 26. Insomma, il rischio che corriamo, se la Regione ed i Comuni non si muovono armonicamente e uniti, è che “da fuori” si venga a far shopping anche della tradizione municipalista emiliano – romagnola, con effetti che potrebbero essere non coerenti con la nostra filosofia, vale a dire avere aziende fortemente radicate sul territorio e, nello stesso tempo, essere sufficientemente robuste per conseguire una gestione efficiente, un alto livello di industrializzazione, contribuire alla tutela ambientale, distribuire equamente i servizi su tutto il territorio regionale, contenere le tariffe, trattare equamente i lavoratori. In poche parole, tenere insieme coesione sociale e competitività. Un approccio economico, una filosofia di gestione che andrebbe chiaramente reindirizzata anche in ambito IREN.
Invece, alcuni Comuni progettano un ritorno al vecchio recinto municipale, immaginano una loro aziendina con relativo consiglio d’amministrazione, e magari i relativi gettoni e prebende. Una soluzione che porterebbe nella direzione opposta a quella che il famoso piano “Cottarelli” si proponeva: ridurre la miriade di società partecipate comunali, fonti di sprechi e sovente in deficit strutturale.
Un comportamento, quello del ritorno al vecchio recinto municipale, che apparirebbe come una fuga dalle responsabilità, un’incapacità di fare squadra e di svolgere il ruolo di regolatori e controllori di Hera per le comunità che questi stessi sindaci rappresentano.
Non è, quindi, solo questione della percentuale di azioni in mano pubblica dell’azienda di viale Berti Pichat (ovviamente, purché l’azienda rimanga a controllo pubblico, come peraltro previsto). Ciò che è importante è che il pubblico faccia finalmente il proprio mestiere con serietà ed efficacia: non basta incassare i dividendi di fine anno, è importante decidere cosa si vuol fare del nostro territorio, investendo ulteriormente per elevare la qualità dell’offerta dei servizi e delle reti.
Mi pare altrettanto strategico un approfondimento sulla nuova governance aziendale. È vero che i sindaci possono mantenere il controllo della società anche con il 38% delle azioni, ma, senza pregiudiziali, è chiaro che preferiremmo rimanesse il 51 %, così come previsto da un accordo con le organizzazioni sindacali. La sua revisione richiederebbe necessariamente un ulteriore confronto (come peraltro abbiamo richiesto) che si dovrebbe tenere con le confederazioni nazionali.
L’occasione della revisione del patto di sindacato trai sindaci, mi pare, invece, certamente propizia per porsi la questione della partecipazione dei lavoratori. Hera potrebbe essere un laboratorio nell’applicazione dell’articolo 46 della Costituzione, prevedendo la possibilità che le rappresentanze dei lavoratori esprimano almeno un amministratore indipendente, iniziando quindi a sperimentare ciò che accade in altre realtà consimili (es. RWE). In altre parole, l’introduzione di profili di democrazia economica con una partecipazione diretta del fattore lavoro in attività di indirizzo e controllo delle strategie aziendali. Una sfida ambiziosa di cui tutti parlano entusiasticamente ma sempre rinviata da storiche diffidenze culturali o di potere.
Spero che la politica possa concentrarsi su questi temi, evitando che il dibattito si strutturi sull’oramai obsoleta contrapposizione pubblico/privato o quella (francamente patetica) piccolo/grande, cogliendo la sfida del cambiamento e dell’europeizzazione della nostra regione.
Giorgio Graziani (segretario generale Cisl ER)