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I microbioti marini tra Rimini e Riccione mostrano lo stato di salute dell’Adriatico


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I microbioti marini tra Rimini e Riccione mostrano lo stato di salute dell’AdriaticoI microbioti dell’Adriatico restano (per ora) ben strutturati e ricchi di diversità nonostante gli impatti delle attività umane sia a livello locale, tra pesca e turismo, sia a livello globale, con la crisi climatica. Resta da capire però quale sia la soglia oltre la quale questa loro capacità di adattamento può venire meno, minacciando di conseguenza l’equilibrio ecologico degli ecosistemi costieri.

Un gruppo di ricerca internazionale guidato dall’Università di Bologna ha analizzato questo tema realizzando il primo studio integrato degli ecosistemi microbici marini nell’area compresa tra Rimini e Riccione. I risultati – pubblicati in due articoli su Frontiers in Marine Science e su Scientific Reports – offrono importanti informazioni sullo stato di salute di una delle regioni marine più antropizzate del nostro Paese.

“I microbioti hanno un ruolo centrale per la salute dei nostri mari: studiarli può aiutarci a comprendere le strutture e le dinamiche di funzionamento degli habitat marini, anche e soprattutto in relazione alla risposta ai cambiamenti globali che stiamo vivendo”, spiega Marco Candela, professore al Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dell’Università di Bologna che ha coordinato la ricerca. “Dai dati raccolti, è interessante notare come i microbioti analizzati non siano costituiti solo da batteri di origine marina, ma integrino al loro interno anche microrganismi di origine terricola: le caratteristiche dell’area di mare studiata possano spiegare un fenomeno di questo tipo, ma resta da capire quale sia la soglia di microrganismi terrigeni che possono entrare nei microbioti marini senza che questo comprometta il loro equilibrio ecologico“.

I microbioti sono assemblaggi complessi di centinaia di diverse specie microbiche, che vivono in sistemi integrati e hanno funzioni fondamentali per l’equilibrio degli ecosistemi in cui si trovano. Questo vale sia sulla terra che negli oceani. Oggi sappiamo infatti che i microbioti marini hanno un ruolo essenziale per la salute del mare, dove sono alla base delle catene alimentari, producendo e riciclando nutrienti organici ed inorganici. Inoltre, questi microbioti marini possono agire in associazione con organismi complessi, come animali e piante, di cui divengono una componente integrante, contribuendo a diversi aspetti fisiologici tra cui la nutrizione, la protezione e la resistenza agli stress.

“Le nostre conoscenze sui microbioti marini sono oggi ancora frammentarie a causa delle barriere tecnologiche che ne limitano lo studio: per analizzarli servono infatti tecniche molto avanzate, come le tecnologie multiomiche, che non sono ancora sufficientemente accessibili per complessità e costi”, aggiunge Candela.

Per ottenere informazioni sulla salute e sulle dinamiche che animano l’attività dei microbioti marini dell’Adriatico, gli studiosi hanno quindi esplorato due filoni principali. Da un lato si sono concentrati sullo studio del microbiota associato alle anemoni (Anemonia viridis) che vivono su barriere artificiali sommerse a 200 metri dalla costa di Riccione. Le anemoni hanno un ruolo chiave per la formazione dell’habitat costiero e la loro salute è un indicatore strategico della salute dell’intero ecosistema. Dall’altro lato è stato invece realizzato uno studio più ampio sui microbioti di acqua e sedimenti presenti nella regione di mare compresa tra Rimini e Riccione: i campioni analizzati sono stati prelevati in 19 siti individuati in un’area tra 12 e 30 chilometri di distanza dalla costa.

Dai dati raccolti è emerso innanzitutto che il microbiota delle anemoni è in stretta relazione, e in equilibrio, con il microbiota dell’acqua e dei sedimenti circostanti, da cui vengono selezionate le componenti microbiche che favoriscono la salute dell’animale.

“È interessante notare che in estate, in coincidenza con il picco della stagione turistica, le anemoni integrano nel loro microbiota alcuni particolari batteri copiotrofi, anche di origine terricola, probabilmente a causa di un maggiore rilascio di nutrienti organici e input terrigeni in prossimità della costa”, sottolinea Giorgia Palladino, ricercatrice all’Università di Bologna e prima autrice dello studio pubblicato su Frontiers in Marine Science.

Un fenomeno, questo, che è emerso in modo analogo anche dall’analisi su più ampia scala legata agli ecosistemi marini ambientali. “I microbioti di acqua e sedimenti marini tra Rimini e Riccione sono perfettamente strutturati per fornire servizi trofici chiave in ambiente marino”, conferma Daniel Scicchitano, dottorando all’Università di Bologna e primo autore dello studio pubblicato su Scientific Reports. “E nelle regioni più prossime alla costa integrano al loro interno anche particolari batteri di origine terricola che hanno importante ruolo nell’azione di degradazione della materia organica”.

Nel complesso, quello realizzato è il più importante studio sui microbioti marini nell’Adriatico Settentrionale: una regione che costituisce il modello ideale per il monitoraggio dell’ecosistema marino in ambienti con una forte presenza di attività antropiche. I risultati confermano il ruolo chiave dei microbioti per mantenere l’equilibrio ecologico, e mostrano la loro grande capacità di adattamento ai cambiamenti. Al tempo stesso, però, pongono domande sui loro limiti di resilienza all’azione combinata delle attività umane e del cambiamento climatico.

Gli esiti della ricerca sono stati pubblicati in due paper: uno su Frontiers in Marine Science, intitolato “Plasticity of the Anemonia viridis microbiota in response to different levels of combined anthropogenic and environmental stresses”, e uno su Scientific Reports, intitolato “Microbiome network in the pelagic and benthic offshore systems of the northern Adriatic Sea (Mediterranean Sea)”.

Lo studio è stato guidato dai ricercatori del gruppo di Scienze e Biotecnologie dei Microbiomi attivo al Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dell’Università di Bologna, in collaborazione con studiosi dell’Università Politecnica delle Marche, dell’Università di Barcellona e di associazioni per la tutela del territorio come Blennius e Fondazione Cetacea.